Volevo che fosse la commedia per eccellenza, la commedia sulla commedia, la commedia autocritica degli
Ettore Scola
autori della commedia, di una generazione di intellettuali romani
Su una terrazza romana si incontrano periodicamente un gruppo di vecchi amici e colleghi che si raccontano, polemizzano, discutono.
Tra questi ci sono uno scrittore cinematografico a corto d’idee, un funzionario della Rai incline alla depressione, un giornalista che non riesce a stare a passo con i tempi che cerca di riconquistare la moglie, un produttore cinematografico di bassa lega alle prese con i capricci della consorte e un deputato in crisi del Partito Comunista che tradisce la moglie con una giovane contestatrice.

Ettore Scola racconta con una struttura a episodi delle storie legate tra loro da un espediente narrativo (la
padrona di casa si rivolge agli ospiti e pronuncia un fatidico: “E’ pronto venite!”).
Le penne d’ oro di Age, Scarpelli e Scola ci regalano dei dialoghi superbi che sembrano essere stati scritti direttamente da Flaiano. I tre autori ci descrivono un universo maschile in crisi in cui la terrazza diventa uno spazio sociale, ma allo stesso tempio privato. Del resto, la terrazza è il luogo borghese per eccellenza, il palcoscenico di una classe dominante autoreferenziale e annoiata, così abituata ai privilegi da non accorgersi nemmeno più di averne.
Sono trascorsi più di quarant’anni dall’uscita nelle sale de La terrazza eppure questo film di Ettore Scola è ancora molto attuale. Il regista realizza un affresco della classe intellettuale romana sull’orlo di una crisi di nervi.
I protagonisti sono frustrati, isterici, insoddisfatti. Non fanno altro che rimpiangere il passato, delusi per non essere riusciti a cambiare il mondo e se stessi. Però, non si piangono troppo addosso e tentano,
almeno, di riprendere in mano la propria vita. Per lo più invano.
Paolo Sorrentino ne La grande bellezza strizza l’occhio a questa pellicola, dato che in entrambi i film viene messa alla gogna una borghesia ipocrita ed egocentrica. Ma c’è una differenza sostanziale: la presa di posizione dei registi. Il vincitore del premio Oscar ci mostra i salotti romani con distacco, tenendosi a distanza dai personaggi; Scola, invece, fa parte del mondo che racconta. E’ anche lui su quella terrazza, tra politici dai sogni perduti e produttori falliti. Mette in scena un’Italia impigrita e spudoratamente maschile. Un’Italia in cui le donne sono sempre in secondo piano e possono ricoprire solo il ruolo di mogli, madri e amanti. Almeno all’apparenza.
La Terrazza viene considerata il canto del cigno della commedia all’italiana e mostra il talento naturale di Ettore Scola nel raccontare con le immagini la società e l’animo umano nelle sue sfumature. Una capacità innata che è evidente in ogni sua pellicola. Premiata al Festival di Cannes del 1980, la sceneggiatura a sei
mani di questo film conta su una scrittura solida oliata a meraviglia. I tre autori hanno messo molto della
loro esperienza personale nella stesura del film.

In tutti e cinque gli episodi de La Terrazza, si alternano momenti di umorismo, commozione, cattiveria e autentica poesia. Emozioni e battute taglienti che solo un cast d’eccezione poteva portare sul grande schermo.
I protagonisti maschili sono interpretati da: Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Serge Reggiani; quelli femminili da Carla Gravina (che per questa performance ha vinto il premio come “Migliore attrice non protagonista” alla 33esima edizione del Festival di Cannes), Stefania Sandrelli, Ombretta Colli e Milena Vukotic. Inoltre, ci sono delle apparizioni di Citto Maselli, Ugo Gregoretti, Leo Benvenuti e dello stesso Age. Una vera rimpatriata del cinema italiano!
Ettore Scola si diverte a scherzare con il fallimento (di un’ideologia, di un certo tipo di cinema, di una certa tipologia d’arte). Il racconto si apre e si chiude in uno spazio che si trova sospeso a metà, proprio tra le mura di casa (vita privata) e Roma (vita sociale). La terrazza è l’agorà, la piazza in cui i personaggi si esibiscono nella capitale, la cui presenza cupa e silente fa da sfondo a questa storia corale. Il regista è un maestro nel dirigere gli incontri e gli sconti di questi “amici serpenti”, tra tradimenti e bugie, tra rapporti superficiali e rarefatti.
La terrazza è il luogo dove, nelle sere d’estate, gli intelligenti romani cenano in piedi. Sono intellettuali, sono borghesi, sono preoccupati: perché sono in età pensionabile, perché il loro prestigio è in declino, per calo d’ispirazione creativa o per mancanza di progetti culturali, per delusione da rivoluzioni mancate o per rimorsi da complicità prestate a misfatti culturali
Ettore Scola

La circolarità della scrittura de La Terrazza è anche una metafora dell’immobilismo delle cose, tema implicito del film. Si inizia con una cena sulla terrazza, si prosegue con gli episodi e si arriva alla fine. Un anno dopo, stessa terrazza, altra cena. Tutto ricomincia da capo. Il cerchio si chiude. I protagonisti si ritrovano di nuovo su quel palcoscenico all’aperto sotto il cielo di Roma. Però, nonostante l’impotenza nel vedersi passare la vita davanti, esorcizzano i propri fallimenti attorno a un pianoforte, cantando. Le donne, non partecipano. Li osservano. Sembrano vivere nell’ombra, ma in realtà sono loro al centro della società. Non hanno affatto bisogno dei loro mariti, le vere emancipate sono loro.
(La terrazza) È in sostanza il ritratto della depressione generazionale, sulla terrazza regna un malessere
Ettore Scola
inespresso, si tratta di situazioni, di stati d’animo, e non succede mai veramente niente”
Sul l’Unità del 1979 intitolavano un articolo dedicato al film così:
Intellettuali al massacro su una terrazza romana”
Una strage dei radical-chic che risulta essere un affresco della fine degli anni settanta e il testamento di una classe borghese alla deriva. Il succo di questa pellicola è tutto nel monologo del politico fallito Mario ( Vittorio Gassman):
Che Dio vi stramaledica, ma perché vi frequento io? I privilegiati depressi, fanno pure più schifo dei privilegiati contenti. Non se ne può più del dolente erudito […], questo implacabile stronzo. Non vi voglio più vedere, voi siete il mio specchio.”
Sono passati più di quarant’anni eppure le parole di Mario potrebbero essere quelle di un qualunque politico italiano contemporaneo. Non trovate? E’ questo il potere del cinema di Ettore Scola.