Se nel lontano 1896 un’intera platea di spettatori fuggiva terrorizzata da una sala cinematografica dopo aver visto un treno correre all’impazzata nella sua direzione (durante la proiezione di L’Arrivo di un Treno alla Stazione di La Ciotat, celeberrimo documentario dei fratelli Lumière), in pochi ricorderanno che soltanto pochi anni dopo (per la precisione, nel 1903) avrebbe avuto luogo un simile evento nel momento in cui un pericoloso bandito si accingeva a sparare un colpo di pistola proprio in direzione del pubblico. Ciò avvenne, dunque, durante la prima proiezione di La grande Rapina al Treno, diretto, appunto, nel 1903 da Edwin Stanton Porter, prodotto dagli Edison Studios e considerato il primo, vero film action con connotazioni western della storia del cinema.

La grande Rapina al Treno, dunque, è una pellicola molto interessante non soltanto da un punto di vista prettamente storico, ma anche per quanto riguarda l’approccio registico adottato da Porter. Ispirato a eventi realmente accaduti (e, in particolare, alle vicende dei fratelli Kelly, una famiglia di banditi), il film – tenendo presente che all’epoca venivano realizzati soltanto prodotti di brevissima durata – era considerato un vero e proprio colossal…della durata di soli dieci minuti! Una durata decisamente straordinaria per quel periodo storico, che, di conseguenza, dato anche il tema trattato, richiedeva precisi ritmi narrativi e, appunto, anche scene d’azione. Ed è qui, dunque, che Porter si è sbizzarrito, facendo tesoro di quanto realizzato in passato dai suoi colleghi, e sperimentando, al contempo, anche qualcosa di totalmente nuovo.

Prima di entrare nel vivo della questione e di vedere da vicino come mai La grande Rapina al Treno è un film così innovativo, vediamo innanzitutto di cosa tratta. La storia messa in scena, dunque, è in sé molto semplice: un gruppo di banditi terrorizza la città da diverso tempo. La polizia è sulle tracce dei malfattori. Un giorno, essi decidono, appunto, di rapinare un treno, un’impresa a dir poco colossale. Riuscirà lo sceriffo, insieme al suo gruppo di fedelissimi, a fermarli?

La grande Rapina al Treno, dunque, si distingue per una trama semplice e articolata allo stesso tempo, ulteriormente valorizzata da circa una quindicina di inquadrature e cambi di scena (un numero spropositato per l’epoca) e da un montaggio parallelo (e qui l’impronta di Edison si fa sentire più che mai) che ci mostra scene che hanno luogo nello stesso momento, ma in posti diversi. E se, nel seguire le vicende dei banditi, possiamo già notare i primi movimenti di macchina, in una scena girata all’interno di una carrozza del treno, nell’osservare il paesaggio in movimento che si intravede dal finestrino, ci rendiamo conto di come Porter abbia sperimentato addirittura la doppia esposizione. Ma non è tutto. Forte da quanto aveva già fatto il grande Georges Méliès, anche qui il regista si è divertito a colorare manualmente la pellicola, realizzando addirittura dei piccoli effetti speciali per quanto riguarda spari ed esplosioni.

Naturalmente, dati i mezzi e le tecniche ancora rudimentali, in La grande Rapina al Treno sono presenti anche diversi momenti che fanno inevitabilmente sorridere, come la morte – eccessivamente teatrale e sopra le righe – di uno dei passeggeri, e scene addirittura “maldestre”, come la sparatoria tra i banditi e la polizia, mentre i cavalli, posti tra le due “fazioni”, rimangono tranquilli e praticamente immobili. Ma sta bene. D’altronde, se questa pellicola di Porter è passata di diritto alla storia, se lo è indubbiamente meritato.

Ma ora veniamo alla scena più famosa di tutto il film, ossia quella che, appunto, ha terrorizzato diversi spettatori e che, di fatto, rappresenta uno dei primi sfondamenti della quarta parete in ambito cinematografico. Alla fine della pellicola, dopo che i banditi sono stati finalmente catturati, uno di loro (impersonato da Justus D. Barnes, che avrebbe preso parte a oltre settanta film muti, impersonando quasi sempre il ruolo dell’antagonista), inquadrato in primo piano, si rivolge direttamente al pubblico, puntando la pistola contro di lui e sparando un colpo. Tale scena, realizzata esclusivamente con l’intento di stupire gli spettatori, avrebbe potuto essere montata – proprio come indicato dal Catalogo Edison – sia all’inizio che alla fine del film. In seguito, come ben sappiamo, si decise di montarla alla fine, sia per aumentare l’effetto sorpresa, sia per trasmettere un possibile “messaggio” dei suddetti banditi: “Siamo stati catturati, ma torneremo”. (Anche) con tale, semplice scena, dunque, Porter ha fatto la Storia. Il suo La grande Rapina al Treno è un vero e proprio gioiello da vedere e rivedere, con la consapevolezza di quanto si era riusciti a realizzare a soli otto anni dall’invenzione del nostro amato Cinema.