Oggi, poco più di un secolo fa, nasceva Anna Magnani, il 7 marzo 1908 a Roma. Della Magnani si è detto e scritto tanto: delle sue immense doti d’attrice, del suo carattere di donna sincera e spigolosa, della sua vita e dei suoi tormentati amori. Ancora oggi, però, nel suo anniversario, vale la pena ricordarla, come una delle più grandi attrici italiane: vera, forte e affamata d’amore.

“La Magnani! Si è detto tutto sulla Magnani! Si è parlato delle mie collere, di Rossellini, delle mie crisi, della mie emozioni troppo violente. Mi si è dipinta come una povera trovatella malaticcia e schernita da tutti. Bè, a questo punto, se permettete, mi metto a ridere, come una pazza. Dovrei arrabbiarmi, esplodere in una violenta crisi di collera? No, cari miei, la Magnani non si arrabbia per simili sciocchezze”

Nonostante molte biografie del tempo, alla ricerca di quell’atmosfera favolistica che racchiude spesso il mondo del cinema, l’avessero fatta nascere ad Alessandria d’Egitto, la Magnani era figlia di una Roma dei primi del novecento, di cui portava sullo schermo la voce e l’essenza. In Egitto visse invece la madre, quella madre ventenne che l’abbandonò per vivere una vita borghese, con un ricco uomo austriaco. Quella vita altezzosa la Magnani la sentì sempre lontana, cresciuta dalla nonna con cinque zie ed uno zio, in una casa modesta, ma piena d’amore. Figura cardine della sua vita, che ha ricordato teneramente in numerosissime interviste, fu proprio sua nonna, con cui cantava vecchie canzoni napoletane e che la tirò fuori dal collegio, dove la spedì sua madre. A causa di quel forte senso di nostalgia e solitudine, lasciatole dall’assenza di quella giovane madre lontana, l’attrice ha sempre inseguito, cercato e bramato per tutta la vita, l’amore; non l’amore di un uomo, ma l’amore di ogni cosa, del mondo, del suo pubblico e della sua città.

“Ho capito che non ero nata attrice. Avevo solo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una carezza di meno”

La Magnani scelse questo mestiere per la sua grande voglia di essere amata, per ricevere quell’amore che aveva sempre mendicato dall’infanzia. Lei stessa, disse che la vita d’attrice le aveva regalato il gusto d’essere amata da tantissima gente, dandole quelle emozioni e sensazioni meravigliose, che solo il pubblico sapeva regalarle.

“Nannarella” era infatti una del popolo, una di casa a cui dare del tu, a cui non chiedere l’autografo ma un saluto ed una risata, come fosse quasi un familiare. Anna Magnani era Roma e Roma era Anna Magnani. Interprete di quell’Italia senza orpelli, che aveva ben conosciuto e di cui si era fatta simbolo, l’attrice era, secondo Tennessee Williams, “la quintessenza del paese”.

Cominciò col teatro, alla scuola di arte drammatica, che allora portava il nome di Eleonora Duse. Entrò poi nelle compagnie del teatro di prosa, fino allo spettacolo popolare, che al tempo era il celebre teatro di rivista, grazie al quale ottenne una popolarità strepitosa. La Magnani era capace di grande pathos, ma anche di far ridere con l’immenso Totò, col suo sarcasmo tagliente e la grande ironia, che si scontrava con una vita privata ben poco fortunata. Se con i primi ruoli, la giovane Magnani raccontava guadagnasse così poco da non potersi permettere due pasti al giorno, la fama col tempo arrivò. Dopo Teresa Venerdì di Vittorio De Sica del 1941 e Campo de’ fiori del 1943, con Aldo Fabrizi, Rossellini la scritturò per il suo manifesto Neorealista.

L’interpretazione che la rese famosissima fu, infatti, quell’urlo di Roma Città Aperta, con cui la Magnani raccontò, nel 1945, il dolore di tutti gli Italiani e quella collera popolare, nel terribile momento dell’occupazione nazista; un sentimento vero, che lei stessa condivideva col suo paese.
Interprete di donne inquiete, afflitte da difficili destini, Anna Magnani portò sullo schermo personaggi che le somigliavano molto: da Maddalena Cecconi, in Bellissima di Visconti del 1951, all’emigrata Serafina Delle Rose, ne La Rosa tatuata di Daniel Mann nel 1955.
Nannarella si identificava totalmente con il debole e con il colpito, con quella sua città che rappresentava, a cui dava voce e dignità. L’attrice, capace di un’autenticità unica e di una spontaneità calibrata, era in grado di offrire quella verità che il cinema di quegli anni ricercava col Neorealismo. Una dimensione reale, non realistica.
La Magnani, si può dire, sia riuscita nel miracolo di professionalizzare la realtà: era vera, ma non improvvisata.

Anna Magnani: gli amori difficili

La Magnani si legò a Goffredo Alessandrini, che sposò nel 1935, in un momento che lei stessa ricordò come meraviglioso, seppur turbolento. Il grande amore, il matrimonio, il Caffè Rosati al posto del viaggio di nozze e tanto lavoro. Con lui visse sette anni di felicità, di gelosia, di dubbi e di collera, dovuta ai molteplici tradimenti.

“Avrei potuto far finta di niente, chiudere gli occhi, ma io non posso, la mia natura me lo impedisce”

La sincerità e la lealtà che tanto cercava, difatti, dai suoi uomini non la ottenne mai. Chi l’aveva conosciuta di lei diceva fosse una donna sola, sensibilissima, piena di complessi e di ombrosità. Il suo carattere, spesso definito difficile, la rese indomabile, sia nella vita privata che nel cinema.

Da Massimo Serato nel 1943, ebbe il figlio Luca: suo grande amore nonché eterna sofferenza. Malato di poliomielite, l’attrice fu costretta a portarlo in una clinica in Svizzera, da dove uscì ormai sedicenne. L’assurda continuità con la sua infanzia ha sempre tormentato la Magnani, costretta a vivere senza una madre e, come lei, anche il suo Luca. Si chiedeva sempre se il figlio avesse nutrito per lei quello che lei stessa provava per la madre, ma la Magnani l’amava moltissimo.

Arrivò poi il chiacchieratissimo amore per il grande regista Roberto Rosellini, quel regista che la fece urlare non solo in Roma città aperta ma anche nel privato. Le liti erano scandalose e sotto gli occhi di tutti. Gianluigi Rondi, critico cinematografico molto vicino alla Magnani, raccontò di quando l’attrice, in preda alla collera ed alla disperazione, rovesciò un piatto di spaghetti in testa al regista.
Tra i due giganti del cinema dopo l’amore arrivò infatti la guerra, la cosiddetta Guerra dei Vulcani. Donnaiolo e bugiardo, Rossellini fuggì con Ingrid Bergman, dopo aver ricevuto dalla giovanissima attrice una richiesta accorata di poter partecipare ad una sua produzione. Rossellini girava Stromboli, mentre la Magnani, ferita e tradita, era sul set di Vulcano. L’attrice romana soffrì probabilmente più per la perdita dell’uomo come artista che come partner. Rossellini, infatti, era il regista che l’aveva davvero capita come attrice e professionista, prima che come amante.

Anna Magnani: le luci di Hollywood

L’indomabile tigre del cinema italiano però si riprese dall’ennesimo schiaffo del destino ed andò in America a vincere l’Oscar. Con La rosa tatuata del 1955, di Daniel Mann, tratto dal romanzo di Tennessee Williams, la Magnani conquistò la Hollywood delle grandi produzioni, consacrando il suo ruolo di artista, ormai internazionale. Dopo la statuetta vinta nel ’56 ed il successo americano, Nannarella torna a casa, a Roma.

 “Dopo tanti grattacieli avevo proprio bisogno di rivedere i tetti bassi, le chiese sedute sui tetti di Roma”

Per la Magnani iniziò però, dopo l’esperienza internazionale, una sorta di parabola discendente. Il cinema italiano era cambiato, si era fatto manierato, il Neorealismo sembrava essere tramontato, erano arrivate le enormi produzioni americane, che avevano distrutto l’atmosfera del cinema di quegli anni. La fine della guerra aveva portato via la distruzione soppiantandola con la gioia, i concorsi di bellezza e le pin-up.

Anna Magnani: l’immobile verità

L’immagine della Magnani però rimase, e rimane tutt’ora, cristallizzata nel tempo. Franco Zeffirelli diceva che Anna non era mai cambiata, era sempre la stessa dell’immediato dopo guerra, con gli stessi capelli, la stessa faccia, la stessa luminosità di sorriso ed occhi e la stessa voce. Non si era mai trasformata in qualche altra cosa, Nannarella.
Era infatti il cinema ad essere cambiato, quel cinema italiano che cominciò a non saperle più offrire  personaggi alla sua altezza, fino quasi a lasciarla in disparte. Era diventata, nel tempo, una leggenda, un monumento, un mito irraggiungibile che i giovani registi sognavano e temevano. Anna Magnani, però, aveva ancora molto da dare e raccontare, riscoprì quindi il suo primo amore: il teatro. Con La Lupa di Giovanni Verga, con la regia di Zeffirelli, la Magnani tornò, nel 1965, a stregare dal vivo il pubblico in sala, quel pubblico che ancora sentiva suo. Non apprezzava, infatti, la televisione che stava dilagando allora: l’attrice romana aveva bisogno di molto spazio sul set. Per questo motivo, non si trovò in accordo con Pasolini, che la diresse in Mamma Roma nel 1962: lui amava le inquadrature strette, lei si esprimeva muovendo tutto il corpo. Quello che fece dopo con Giannetti infatti, fu più che altro cinema per la televisione, con la serie televisiva Tre Donne: La Sciantosa, L’incontro e L’automobile, del 1971.

La Magnani era verità immobile, sincerità dura, era la luce tetra della Roma barocca in quelle vie buie e desolate, in cui la fece camminare Fellini nel ’72, nei panni di se stessa, nel suo film Roma. Era ancora il simbolo della giovanissima Italia degli anni ’40 e ’50, con la sua sensibilità da popolana e i personaggi di una grandezza quasi rinascimentale. Quella del ’72 fu l’ultima apparizione della Magnani, una sorta di commiato a quel mondo a cui tanto aveva dato e che tanto le aveva restituito. Anna Magnani morì poco dopo, il 26 settembre del 1973. Una donna vera, immensa, fragile e ruvida, sentimentale ed aggressiva, simbolo di una romanità d’altri tempi.

Jurij Gagarin la salutò dallo spazio e noi oggi, a Cabiria, la salutiamo con un piccolo omaggio all’immensa attrice che ha segnato, con la sua arte, un’intera epoca.