Il sodalizio tra HBO e Sky ci ha abituato a serie televisive di gran classe. Da The Young Pope e The New Pope, fino a Caterina la grande e al premiatissimo Chernobyl, i prodotti realizzati da questa singolare coproduzione italo-americana si contraddistinguono per una straordinaria cura nella realizzazione.
Dal 24 luglio 2020 arriva anche un altro figlio di HBO/Sky, Il complotto contro l’America (The Plot Against America), una miniserie che non tradisce affatto le aspettative.
Si tratta di un adattamento dal romanzo omonimo di Philip Roth pubblicato nel 2004 e ambientato agli inizi del 1940, ma la storia de Il complotto contro l’America è incredibilmente attuale e sembra parlare di trumpismo. Si tratta di un’ucronia, ovvero di una versione alternativa della storia (sull’esempio dei romanzi di Philip K. Dick come La svastica sul sole o del film tarantiniano Bastardi senza gloria) e rientra appieno nel genere letterario della fantapolitica.
Pur seguendo interamente il filone delle storie alternative, mai verificatesi e ipotetiche, questa miniserie sembra calzare a pennello alle cronache dell’America contemporanea.
Il complotto contro l’America: trama della miniserie in onda su Sky dal 24 luglio 2020
La trama de Il complotto contro l’America si potrebbe riassumere tutta nella frase “Win or lose, there is a lot of hate out there. And he knows how to tap into it” (Che vinca o che perda, c’è molto odio fuori di qui. E lui sa come usarlo). La citazione è riferita all’aviatore Charles Lindbergh –personaggio celeberrimo e controverso realmente esistito che ha ispirato film e opere d’autore– e al crescente consenso popolare nei confronti delle sue posizioni xenofobe e totalitarie.
Quella immaginata da Philip Roth (adattata per la TV da Ed Burns e David Simon) è una storia alternativa dell’America e della Seconda Guerra Mondiale, raccontata dal punto di vista dei Levin, una famiglia ebrea della classe operaia del New Jersey.
Le vicende personali dei Levin –il cui nucleo principale è composto da Evelyn (Winona Ryder), Alvin (Anthony Boyle), Bess (Zoe Kazan), Herman (Morgan Spector), il rabbino Lionel (John Turturro) e il piccolo Philip (Azhy Robertson)– si combinano drammaticamente con l’ascesa di Lindbergh, il derivante populismo e odio razziale.
Le tinte della serie tv Il complotto contro l’America diventano fosche e terribili già dal secondo episodio, da quando Lindbergh sfida Franklin D. Roosevelt alle elezioni e trascina gli Stati Uniti verso un’apocalittica alleanza con la Germania di Hitler con la promessa di tenere lontano la popolazione dal conflitto mondiale.
I membri della famiglia Levin vivono un disgregamento progressivo causato dalla politica nazionale perché l’America è diventata a tutti gli effetti un paese nazista.
I 6 episodi rimangono sempre concentrati sui Levin e sulla loro travagliata esistenza, ma i passaggi dell’ascesa di Lindbergh sono dei veri e propri plot twist di ogni puntata che sconvolgono persino le relazioni sentimentali.
Il complotto contro l’America: recensione
Il complotto contro l’America è una serie tv davvero vibrante e intensa. Il significato è forte e chiaro e mostra cosa accade quando le persone non fanno sentire la propria voce per opporsi all’odio.
La miniserie di Burns e Simon aggiunge però qualcosa al messaggio originale di Philip Roth. Le inquadrature sono strettissime sui personaggi e sulla loro costruzione sociologica e emotiva, ne deriva un’intensa riflessione sulla famiglia.
Non si tratta di una visione per tutti perché il tono e le tinte sono di puro gusto drammatico. È una serie di gran classe, come lo sono state Catch 22 e il già citato The New Pope.
La realizzazione è grandiosa come in (quasi) tutte le miniserie HBO, ma quello che ci stupisce più di ogni altra cosa è l’estrema cura per la caratterizzazione delle situazioni. Anche se la soundtrack è composta dai più classici e rappresentativi brani degli Anni 40, ogni cosa ne Il complotto contro l’America –dalle scenografie, ai costumi alla fotografia vintage e angosciosa– è orchestrato alla perfezione.
La regia è languida e ispirata dalle emozioni delle sequenze. I registi Minkie Spiro e Thomas Schlamme sembrano voler dare spazio alla componente interiore dei personaggi e valorizzare al massimo le strepitose prestazioni degli attori coinvolti nella produzione.
È davvero difficile trovare aspetti negativi in questa miniserie. Se proprio volessimo trovarne uno, potremmo evidenziare che c’è una profonda differenza dalla narrazione di Roth nelle scene iniziali. La prima puntata illustra tutti i personaggi principali con dei piccoli accenni che fanno presagire sin da subito i tratti della personalità di ognuno, mentre il romanzo ha un unico importantissimo punto di vista: è il piccolo Philip che racconta come narratore extra-omodiegetico.