Alla fine dell’Ottocento, la Corsa all’oro è più accesa che mai. John Thornton, un cercatore immerso in questo clima frenetico, lotta contro la durezza della natura facendo attenzione agli spietati rivali che cercano di derubarlo. Suo unico compagno, l’imponente cane Buck, gli mostrerà quanto l’unione tra un uomo e un animale possa essere profonda.

È questa la premessa dietro Il richiamo della foresta, nuovo film diretto da Chris Sanders (Lilo & Stitch, Dragon Trainer). Nella parte di John Thornton troviamo Harrison Ford, con tanto di barba bianca folta. Il resto del cast è composto dall’attore britannico Dan Stevens (Downton Abbey), il divo francese Omar Sy (Quasi amici) e Karen Gillan (Jumanji – Benvenuti nella giungla). La pellicola è ispirata al romanzo d’avventura “The Call of the Wild”, dello scrittore statunitense Jack London. Non essendo la sua prima trasposizione cinematografica, quello di Sanders diventa difatti il quinto riadattamento di questo classico della narrativa.

Il richiamo della foresta: Trama

Il richiamo della foresta recensione harrison ford

Ci troviamo nella Santa Clara Valley, in California, nel 1897. Buck, un cane incrociato tra un San Bernardo e un Pastore Scozzese, vive nella fattoria di un magistrato, il giudice Miller. Con la Corsa all’oro del Klondike c’è più richiesta di cani da slitta, unico mezzo nella gelata estremità settentrionale del continente americano. Quando la corsa ha inizio, il cane Buck viene rapito e venduto dal giardiniere del suo padrone a un losco trafficante, il quale lo maltratta e lo rinchiude in una cassa perché sia trasportato per nave tra i ghiacci del Klondike. Inizia a vivere momenti tragici, affrontando la dura condizione del cane da slitta, ma anche traendone insegnamenti. La vita, con modi d’agire misteriosi, farà sì che la strada di Buck tuttavia  incroci quella di John Thornton, un anziano cercatore d’oro. Ne nascerà un legame indissolubile, che aiuterà entrambi i protagonisti a riscoprire la loro vera essenza vitale, immersi nella foresta selvaggia.

Siamo al cospetto di quello che è considerato il capolavoro di Jack London. È una storia che sin dal 1904 ha smosso gli animi di milioni di lettori in tutto il mondo. Vi sono stati fatti svariati adattamenti, sia sul grande che sul piccolo schermo. Nonostante ciò, Il richiamo della foresta di Chris Sanders riesce ad avere un’identità propria che lo contraddistingue. Il racconto è fedele, in particolar modo tutto l’arco narrativo iniziale focalizzato su Buck, dalla sua sfera domestica ai suoi primi incontri con Thornton. Per quanto il minutaggio della pellicola possa apparire risicato (poco meno di due ore), la storia si dispiega in modo ottimale e con la giusta attenzione ai dettagli.

Il richiamo della foresta: Analisi

Il richiamo della foresta recensione harrison ford

È interessante notare come, celata tra le svariate peripezie, vi sia una tematica primaria nella storia: la ricerca di sé stessi. Buck e Thornton non sono solo amici, colleghi, padrone e cane, ma sono dei veri e propri complici nel perseguire una missione comune. Questa però non ha nulla a che vedere con il biondo metallo (che funge da “MacGuffin”, ossia da espediente narrativo utile solo ai fini della storia). Al contrario, ciò che davvero sta a cuore ai due protagonisti è ritrovarsi, riscoprirsi e, in un certo senso, rinascere. Prima del loro incontro erano fermi, limitati nella loro comfort zone, incapaci di scrutare il loro sentiero vitale perché resi ciechi da una mente annebbiata. Fiondarsi in una nuova sfida piena di pericoli ha fatto dileguare quella nebbia, rendendo più nitido lo sguardo sul sentiero. È infatti quando ci mettiamo in discussione, quando accettiamo nuove sfide, quando scegliamo di abbracciare il rischio dell’ignoto, che permettiamo alla nostra vera natura di splendere.

Il regista Chris Sanders trasporta questo concetto in modo decisamente efficace anche al livello visivo. Buck infatti, durante tutta l’avventura, sarà affiancato dal suo “spirito guida”, che si paleserà ai suoi occhi occasionalmente con le sembianze di un lupo selvaggio. Non visibile però da John Thornton, interpretato da un Harrison Ford incredibilmente adatto per la parte. L’aspetto canuto, l’aria attempata ma ricolma di saggezza, tutto ciò arricchisce una prova già soddisfacente e di qualità. Menzione d’onore anche per Omar Sy, qui nei panni del padrone di Buck ma solo per un breve frangente del racconto. L’attore francese irradia energia in ogni sua parte, è una sua dote naturale, ed in questo film non fa eccezione.

Al livello d’impatto visivo, quest’opera non delude. Il forte uso della CGI, messa in campo soprattutto per le animazioni sui cani e sulle loro espressioni, non guasta affatto la godibilità estetica complessiva. Gli amici a quattro zampe hanno visi (o, per meglio dire, musi) loquaci, ricchi di emozioni ma senza sfociare nell’esagerazione. Così come non sono esagerate le interazioni tra uomo ed animale immaginario, spesso rese grottesche in questo genere di film. Il tutto avviene in location mozzafiato, dominate dal bianco delle nevi gelide che, diventando teatro dell’avventura, incorniciano così la storia in uno scenario da favola.

Il richiamo della foresta: Conclusioni

Il richiamo della foresta recensione harrison ford

Con Il richiamo della foresta, Sanders ci propone forse una delle migliori trasposizioni del racconto di Jack London viste finora. L’utenza alla quale è indicata la fruizione del film è chiaramente quella dei bambini, ma gli spunti di riflessione offerti vanno bene per chiunque. È pensato come un film per ogni età, non limitandosi difatti ad un mero epilogo didascalico fine a se stesso. Al contrario, la realtà che si cela sotto il velo della storia è dura, drammatica, fatta di consapevolezza e di lotte. Ecco come risorgono Buck e Thornton, proprio svelando questa verità ineluttabile. Non si fanno abbattere, non si piegano al destino, non hanno paura del bastone, ma giocano intelligentemente le loro carte. I due, intraprendendo questo viaggio, non si lasciano dietro solo la loro casa, ma anche le rovine di una vita ormai passata. La ricerca non sta quindi nell’oro, nella fortuna, ma nella speranza immortale di una vita migliore.