L’uomo e l’artista. Tale importante binomio ci viene presentato, in La decima Sinfonia, soltanto a circa metà del film. Eppure, questo gioiello firmato Abel Gance e realizzato nel lontano 1918 si concentra proprio su ciò.

Mentre l’uomo è capace di ogni possibile crimine e ricatto, soltanto l’artista, attraverso la più profonda sofferenza, è in grado di dar vita a qualcosa di sublime. Ma La decima Sinfonia, di fatto, non è solo questo. Nel mettere in scena un profondo dramma personale, infatti, Abel Gance ha ancora una volta dato prova del suo straordinario talento nel “giocare” con questa nuova invenzione chiamata Cinema, sfruttando ogni sua potenzialità e cercando, al contempo, nuovi modi di intendere la messa in scena stessa.

La storia qui raccontataci, dunque, è quella della ricca orfana Eve Dinant (impersonata da Emmy Lynn), ricattata dall’inquietante Fred Ryce (Jean Toulout), dopo aver accidentalmente ucciso la di lui sorella. Dopo aver messo a tacere l’uomo in cambio di denaro, Eve tenterà di rifarsi una vita e, circa un anno dopo, sposerà il compositore, allievo di Beethoven, Enric Damor (Séverin-Mars). Tutto sembra andare per il meglio, finché la donna scoprirà che la figlia di Enric, Claire (Elizabeth Nizan) sta per sposare proprio Fred. Che fare per impedire il matrimonio e salvare, così, la vita alla ragazza?

In La decima Sinfonia, dunque, ciò che immediatamente ci colpisce è la straordinaria cura dedicata alle immagini. Raffinate sovrimpressioni e intensi primi piani ci mostrano sovente i volti dei personaggi come “staccati” dal contesto in cui si trovano, lasciando proprio alle emozioni l’arduo compito di caratterizzare ognuno di loro a 360°. Dettagli di mani che suonano il pianoforte, ma anche di uccelli che cadono a terra morti, di lettere scritte a mano e di castelli di carte che crollano miseramente stanno a rappresentare una delle tante peculiarità della presente pellicola.

Enric Damor è disperato. Crede che sua moglie sia irrimediabilmente innamorata di Fred e, per questo motivo, tenti di sabotare il matrimonio. L’uomo e l’artista. Mentre l’uomo, in un primo momento, se la prende con la donna, ecco che l’artista prende il sopravvento, dando vita a una delle sue opere più belle e sentite: la decima sinfonia.

Le emozioni innanzitutto. L’arte e il suo potere salvifico. Particolarmente interessante, a tal proposito, è proprio la scena in cui Enric si esibisce in pubblico, in occasione del fidanzamento di sua figlia, facendo ascoltare a tutti per la prima volta la sua nuova sinfonia. È in questa occasione, dunque, che anche la regia di Abel Gance spicca il volo. È in questa occasione che vediamo proiettata su un telo l’immagine di una donna che danza all’aperto. Cinema e metacinema. Il cinema e tutte le sue infinite potenzialità.

Se pensiamo, dunque, che La decima Sinfonia è stato realizzato soltanto nel 1918, ossia circa ventitré anni dopo l’invenzione del cinematografo, ci rendiamo conto di come Gance sia stato lungimirante e coraggioso nello sperimentare nuovi linguaggi e nuove forme di messa in scena, ulteriormente valorizzate anche da un montaggio che, man mano che ci si avvicina al finale, si fa sempre più frenetico.

Nel 1918 erano passati appena due anni dalla realizzazione del secondo grande colossal americano (Intolerance di D. W. Griffith), eppure, come già avevamo avuto modo di vedere nel 1914 con l’altrettanto raffinato colossal Cabiria di Giovanni Pastrone, anche l’Europa aveva da dire la sua.

E se pensiamo anche a tutte le innovazioni tecnico/narrative del cinema di Georges Méliès, ecco che ci rendiamo conto che, di fatto, era proprio in Europa che la settima arte, in questi suoi primi anni di vita, aveva trovato la sua massima realizzazione.
Sulla paternità del cinema (Stati Uniti o Europa?) si è teorizzato molto, di fatto, nel corso degli anni. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.