Scary Stories To Tell In The Dark​ è un horror tratto dall’iconica ed inquietante serie di libri per ragazzi scritta dal giornalista americano Alvin Schwartz nei primi anni ’80. Il regista André Øvredal è lo stesso di Troll Hunter, un piccolo, ma interessantissimo mokumentary indipendente del 2010.
Il film, presentato durante la XIV Festa del Cinema di Roma, nasce da un progetto del visionario Guillermo Del Toro (qui in veste di produttore) che porta le avventurose e misteriose storie di Schwartz sul grande schermo per andare a colmare un gap del cinema per ragazzi che, dopo I Goonies, in molti prodotti hanno cercato di sanare, invano.

Scary stories to tell in the dark: trama del film

A Mill Valley, un’immaginaria cittadina degli Stati Uniti, l’aria di rivoluzione e il vento del cambiamento tipici del 1968 sembrano non esistere. Il paesino infatti è lontano dai disordini e dagli scontri dei grandi centri urbani. La  notte di Halloween si avvicina qui beata e calma…
Solo i teenager sono in gran fermento per la notte più lunga dell’anno, ma il gruppo di Stella e dei suoi compagni di scuola vuole spingersi oltre il classico dolcetto o scherzetto, decidendo di addentrarsi nell’inquietante dimora della famiglia Bellows.
Quattro amici, una casa abbandonata ed è subito un classico… ma sulla spettrale villa incombe un segreto terribile: Sarah, la più piccola di casa Bellows, ha trasformato la sua travagliata esistenza in una serie di storie spaventose, scritte col suo stesso sangue in un libro che ha travalicato i limiti del tempo.
Stella e gli altri si imbattono nel libro di Sarah Bellows e, ben presto, le storie in esso contenute si fondono con l’inquietante realtà. E solo i ragazzi del gruppo sono in grado di risolvere il mistero che avvolge i macabri eventi accaduti nella loro cittadina.

Scary stories to tell in the dark: recensione


La regia di André Øvredal è formalmente precisa e ordinata e dimostra una grande conoscenza degli stilemi dell’horror. La passione del regista stesso verso questo genere è tangibile in ogni fotogramma, a partire dalla classica presentazione dei personaggi.
Il filemaker norvegese sfrutta il suo bagaglio immaginifico per costruire la tensione gradualmente e per far salire  il terrore lentamente, fino a una clamorosa esplosione.

Scary Stories to tell in the Dark non è un horror che mira semplicemente a turbare lo spettatore impaurendolo con il male insito generalmente nell’animo umano, ma è un film che vuole prima di tutto intrattenere ed emozionare sviscerando il concetto di “spaventoso” attraverso una certa ironia che serve a catalizzare la digestione del terrore. 

Il pregio più grande dell’opera di Øvredal è l’equilibro che si crea tra la conturbante energia dell’horror, l’adrenalina che caratterizza questo genere e le vibrazioni positive presenti in molte pellicole d’avventura contemporanee ai libri di Schwartz che hanno fatto innamorare del cinema molti bambini.
Quindi, da un lato, la perfezione formale del Poltergeist di Tobe Hooper (1982) e la sua inquietante atmosfera, dall’altro l’avventura e l’ironia dei I Goonies di Richard Donner (1985) (o anche dell’Explorers di Joe Dante); questo mix fa intendere che i mostri del film e i sentimenti angosciati dei protagonisti non sono altro che la metafora delle ansie della crescita. Lo scontro con le creature fantastiche diventa, in automatico, l’allegoria della lotta tra il crescere e rimanere bambini.   
  
Se Øvredal firma in maniera riconoscibile Scary stories to tell in the dark, nonostante una regia mai sopra le righe, la cifra stilistica di Guillermo Del Toro è altrettanto riconoscibile prima di tutto nell’ambiente polveroso della spettrale casa dei Bellows e ancora di più nella raffigurazione dei mostri presenti nel film che appaiono volutamente grotteschi e pallidi e richiamano alla memoria le creature de Il labirinto del fauno.

Scary stories to tell in the dark ha, almeno nelle intenzioni del team realizzativo, le potenzialità per diventare un cult, ma soltanto il tempo ci dirà se sarà “il Goonies” della Generazione Z.