Nel cinema delle origini venivano chiamate “vedute” le scene di vita quotidiana girate con una sola inquadratura con la macchina fissa e senza variazione di asse. Si trattava di riprese della durata di 50 secondi circa effettuate en plein air in varie località di Parigi con pellicole di 17 metri e con luce naturale, messe in commercio dai fratelli Lumière differenziandole dai “quadri” che erano invece brevi scene girate interamente in interni. Le vedute si estesero ben presto anche a documentare la vita in paesi lontani e, come tali, restano ancora oggi un prezioso documento geografico e antropologico del mondo nel primo quindicennio del ‘900. Per questa loro funzione, le vedute riscossero lo stesso successo che nel ‘700 arrise alle analoghe vedute pittoriche di città europee eseguite da Canaletto e da Bellotto.
La più famosa di queste “vedute in movimento” è quella del treno che arriva alla stazione della Ciotat, che fu proiettata il 28 dicembre 1895 al Café des Capucines e che segna la nascita ufficiale del cinematografo. La posizione diagonale della cinepresa rispetto al binario produce una profondità di campo in virtù della quale la locomotiva in arrivo sembra davvero piombare addosso agli spettatori sconcertati e impauriti. Il fatto che la prima immagine del cinema rappresenti un treno non è casuale. Infatti, anche la pellicola scorre trascinata dai dentini di un rocchetto, anche essa segue dei binari lungo i quali corre avanti, un particolare che farà stabilire a Wenders una equazione tra motion ed emotion.
Da notare che le riprese per le vie parigine delle “vedute” non erano occultate, ma avvenivano con la consapevolezza dei passanti, i quali spesso si fermavano a salutare in direzione dell’obiettivo, tanto che esse possono considerarsi anche come una “auto-rappresentazione” degli abitanti di Parigi dell’epoca, i quali poi correvano nei cinema per rivedersi sul grande schermo.
Louis Lumière girò anche delle brevi scene a soggetto spesso divertenti basate su trovate o gag di facile comprensione, come nel caso di L’innaffiatore innaffiato. Non mancavano momenti di vita familiare, come quello della coppia di genitori con bebè a tavola intitolato Le repas de bebè, un idillico quadretto che stupì gli spettatori non tanto per la presenza del neonato imboccato dal padre, quanto per le foglie dell’albero agitate dal vento sullo sfondo con un effetto realistico mai visto prima.
Il cinematografo diventa più sofisticato rispetto al naturalismo dei Lumière con l’arrivo dei trucchi elaborati da Georges Méliès. Quest’ultimo si serve delle risorse ottiche che possono essere utilizzate dal nuovo mezzo per produrre meraviglia e stupore. Le sue prime opere sono vere “attrazioni” che consistono in effetti illusionistici basati su sparizioni e metamorfosi ottenute con procedimenti tecnici quali le sovrimpressioni, l’arresto della ripresa e lo spostamento della cinepresa avanti o indietro per alterare le dimensioni degli oggetti, cosa che si vede, ad esempio, in L’uomo con la testa di caucciù. Ben presto dai film consistenti in un solo “quadro”, Méliès passò a realizzare opere composte di più quadri, articolandole grazie a un montaggio magari ancora ingenuo, ma senza dubbio efficace. Questo progresso gli consente di costruire una forma primitiva di “racconto”, come dimostra l’avventura fantastica narrata in Il viaggio nella Luna, progenitore storico datato 1902 del futuro cinema di fantascienza. La rappresentazione è ancora di impianto teatrale e si basa sui fantasiosi fondali dipinti e sui numeri derivati dal music-hall ma presenta,comunque,un arco narrativo compiuto che unifica l’insieme delle scene “meravigliose”,ciascuna autonoma nel suo svolgimento.
Il dualismo Lumière-Méliès esprime le due anime del cinema, quella documentaria e quella visionaria. In realtà, bisogna dire che le due dimensioni del cinema sono sempre intrecciate, anche se a volte prevale l’una e altre volte l’altra. Se è vero che-come ha osservato Godard- “Lumière ha scoperto lo straordinario nell’ordinario, mentre Méliès ha trovato l’ordinario nello straordinario”, la conclusione è che il cinema parte sempre dal realismo per giungere all’irrealismo, e in questo consiste il suo fascino esclusivo.
Angelo Moscariello