La sezione Giornate degli Autori dell’80ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia ospita L’invenzione della neve, (clicca qui per leggere la recensione) che grazie alla sapiente ed attenta regia di Vittorio Moroni si riesce ad imporre per originalità (soprattutto della messa in scena) nel panorama del cinema italiano. Abbiamo rivolto qualche domanda al regista e ad Elena Gigliotti, la soprendente interprete protagonista.

L’Introduzione animata che racconta i pericoli di nascere in una giungla pericolosa come il mondo, la ritroviamo anche in altre parti del film: ci parli di questa scelta stilistica e narrativa?

Vittorio Moroni – Le animazioni sono nate con il film, con l’idea stessa del film perché in realtà questo film sono due film, cioè c’è la competizione tra due strade: una è la strada che ci racconta come il mondo tratta Carmen, questa donna che ama in modo un po’ inaccettabile o discutibile e un’altra strada è quella che cerca di immergersi nel mondo interiore di Carmen.

Ci tengo a dire che questa favola che Gianluigi Toccafondi ha dipinto, a cui sarò eternamente grato per quel mondo da cui sgorga e nasce inizialmente il film, è un’immersione nel mondo di Carmen, questo mondo è la speranza che Carmen ha ed è la nostra possibilità, la mia e dello spettatore del mio film, di poter non aderire alle scelte della protagonista.

Io sento che più il personaggio mi racconta di sè più io credo di intuire da dove arrivano queste scelte anche le più sbagliate e a un certo punto queste due strade vanno in collisione mentre Carmen ribadisce e grida al mondo che il suo giardino può diventare una giungla sulla quale d’estate può nevicare, rasenta la follia, ma al tempo stesso il mondo cerca di proteggere gli altri da Carmen da questa donna che è un animale pericoloso.

Elena Gigliotti – mi piace questa parola animale, dà fastidio, le animazioni ci hanno portato nel mondo degli animali, abbiamo molto lavorato sull’ animale, sull’essere animale di questo personaggio e siamo partiti da una tigre che ho davvero tatuato e ci sono altre cose, per esempio Giada, la bambina, è mia nipote nella vita reale, e alcune scenografie vengono da casa mia, ho voluto portare tante cose di me e tante cose di Carmen sono giunte a me.
La favola ha il compito in qualche modo di portarmi nella fantasia di questo animale che per me rappresenta l’impossibile di questo personaggio che crede nell’impossibile e la favola in animazione è in qualche modo una fantasia di sopravvivenza.

Da chi ha tratto ispirazione per il ruolo di Carmen nella storia e che ruolo ha una donna allora sempre madre che .. come figlia anche e soprattutto lei stessa …

Vittorio Moroni – Ho preso ispirazione da un incontro reale nella mia vita. Sentivo che le scelte di quella persona sembravano moralmente discutibili, secondo la mia morale, eppure provavo affetto ed empatia, volevo comprendere da dove arrivavano quelle scelte.
Volevo che questo film riuscisse a fare la stessa cosa cioè a convocare lo spettatore e metterlo in quella posizione di dovere al tempo stesso decidere se le cose che accadono sono cose condivisibili o no, sempre condivisibili alcune volte o per nulla e al tempo stesso difendersi da quell’empatia o non poter difendersi ed essere travolto da quell’affetto.

Per farlo c’è stato bisogno di tante cose trovare un  interprete che fosse in grado di restituire questo. Abbiamo scelto Elena perchè ci stava raccontando qualcosa di quel personaggio che noi sapevamo, ma non sapevamo di sapere, stava estraendo da quel personaggio dei risvolti che erano fondamentali per tenere insieme questo paradosso; come se Elena, dal primo giorno avesse compreso che poteva portarci con la sua personalità e col suo vissuto tantissimo, dando al personaggio.

Considerando l’esperienza de Il giorno e la notte, il cinema si può fare da remoto o c’è bisogno di un contatto diretto ?

Elena Gigliotti – Il film di daniele vicari partiva  da un esperimento e anche in quel caso dato che era un periodo molto difficile soprattutto per tutti e noi artisti ci siamo sentiti fuori dal coro. A cosa serviamo? Dovevamo ritrovare il senso, quindi quella esperienza per me è stata molto interessante anche perché era strana: da una parte c’era una professione perché eri a casa tua col tuo compagno, nella tua cucina, nella tua stanza da letto, però nello stesso tempo c’era una troupe dall’altra parte, Daniele era meraviglioso ed esigente, ma nello stesso tempo, a distanza cercava di aiutarci. é stato un modo per continuare ad affermare il nostro senso, anzi a indagarlo ancora a cercare qualcosa per cui io non mi schiero da una parte o dall’altra mi schiero dalla parte della ricerca l’importante è cercare qualcosa, cercare un senso un rapporto e non sappiamo cosa succederà da qui al futuro che ci aspetta. Sappiamo che colleghi a H,ollywood in questo momento stanno prendendo una posizione molto forte, in una intervista Susan Sarandon parlava dell’intelligenza artificiale e quella cosa li è molto preoccupante perché questo mondo potrebbe sparire. L’importante è riuscire a ritrovarsi, instaurare comunque continuamente un confronto che può e dovrà avvenire attraverso dei mezzi tecnici.

Ovviamente lavorare faccia a faccia, toccarsi con tutti gli altri attori, è una esperienza diversa io vengo dal teatro e se guardo un pò al passato mi sento tranquilla, il teatro non è ancora morto e non credo che morirà, io mi sveglio con questo mistero quindi mi auguro che questo rito del teatro e del cinema possa continuare a essere vissuto. 

Nel primo nucleo fondamentale del film seguiamo Carmen a distanza per poi avvicinarsi di più durante il film, come è stata impostata la costruzione tecnica del film?

Vittorio Moroni – Penso che la parola chiave sia “cercare di controllare l’assenza di controllo” questo è quello che abbiamo fatto noi due, ognuno nella propria professione. Ho lavorato alla sceneggiatura per otto anni con bravissimi co-sceneggiatori quindi abbiamo super controllato il testo. L’impostazione teatrale di questo film, in sei scene c’è l’unità di luogo, parla fortemente di organizzazione.
Dentro tutto questo noi volevamo però liberare delle energie, la cosiddetta verità no?
Per fare questo c’era bisogno di creare un dispositivo in cui succedessero sogno tanto delle cose, allora quella sceneggiatura, ho detto a tutti gli attori, doveva essere una mappa di un viaggio, in quella mappa dovevano esserci degli appuntamenti che non si potevano perdere e al tempo stesso quello che succedeva nel viaggio era importante.

Elena per me è stata la scelta giusta, in lei ho intravisto una cosa che non ho mai visto nel mio lavoro e cioè un controllo fortissimo, una confidenza negli strumenti del suo lavoro, quelli che si imparano a teatro con la scuola. Dico sempre che lei sia “senza pelle” quando fa le riprese cioè si lascia colpire e ferire in un modo molto profondo, controlla la sua esposizione al non controllo questa cosa era esattamente ciò che io stavo facendo dall’altro lato. 

Elena Gigliotti – Ho iniziato a fare questo mestiere in teatro e poi anche al cinema, sono all’inizio, ho un po’paura. Il teatro è un mezzo, anzi un mondo, attraverso il quale questa paura si mette un pò da parte, ero terrorizzata da questa esperienza perché dovevo fare la protagonista e lui raccontava di questa modalità di questo dispositivo e io non avevo quella coincidenza di cui lui parla lui. Fa sorridere ora, ma io non volevo avere a che fare con quel mostro, lo chiamo così, il mio rapporto col mio corpo è conflittuale e difficile perchè non rappresento un viso canonico quindi è stato grandioso nel suo modo di lavorare non mi ha fatto mai sentire il peso del mezzo e mi sono sentita sempre costantemente libera.

L’invenzione della neve sarà nelle sale italiane dal 14 settembre.