Abbiamo imparato  da qualche anno che le serie televisive trasmesse in più stagioni e in più episodi sono ecosistemi mediatici interconnessi e stratificati che mirano a fidelizzare un pubblico amante delle storie con più personaggi mossi da forti passioni in contesti all’apparenza tranquilli, ma che in realtà nascondono trame e segreti innominabili.

In sintesi questa è logica produttiva seguita dagli autori delle serie tv di tutto il mondo con una progressiva estensione geografica che investe anche paesi agli esordi nel settore quali la Turchia, la Svezia e il Cile forti di una solida tradizione cinematografica a cui rifarsi nell’utilizzo dei generi e dei topoi narrativi più amati dal grande pubblico.

La carta vincente delle serie trasmesse dovunque in streaming è quella sviluppare storie che si ramificano in più direzioni nel corso del tempo ma che restano sempre interconnesse fino a ricondurci al nucleo iniziale con rivelazione più o meno a sorpresa.
Un efficace esempio di questa pratica narrativa la vediamo in Into The Night dove i passeggeri di un aereo di varia estrazione sociale e di varie nazionalità devono evitare di venir sorpresi dal sorgere del sole i cui raggi sarebbero mortali per tutti, talchè solo una notte senza fine, ma improbabile potrebbe salvarli.

Gli episodi sono scanditi dal nome del personaggio che ha un ruolo cruciale nella puntata con il risultato che la narrazione obbedisce a una struttura rizomatica che tra trame e sottotrame si allarga nello stesso tempo a rendere conto di decine di storie individuali tutte ugualmente coinvolgenti.

L’effetto di tale procedimento risulta vagamente straniante per lo spettatore che ogni volta rivede lo stesso film sotto un’angolazione diversa a partire dall’iniziale recap che serve da breve riepilogo di quanto avvenuto prima.

La struttura rizomatica rende intertestuale il racconto con continui rinvii interni ed esterni a quanto si è visto o si vedrà ed eccede la classica narrazione lineare spezzata da flash-back alla quale il cinema classico ci ha abituato.

Il modello spazio-temporale offerto dalla serie citata lo ritroviamo seguito anche in altri titoli come l’antesignano Lost e il recente La nebbia, per non parlare di altre serie di grande successo provenienti, oltre che dagli USA e dalla Gran Bretagna, anche dalla Corea del Sud, dalla Spagna e dall’Islanda.

Purtroppo a fronte dei suddetti esempi troviamo la povertà delle serie italiane che sono provinciali nelle storie e vecchie nelle strategie narrative, questo forse perché da noi è sempre mancata una grande tradizione del romanzo fantastico o forse anche perché da noi non ci sono mai stati eventi traumatici collettivi come in altre nazioni (quali l’11 settembre negli Usa o la guerra civile come in Spagna o la guerra fredda come in Germania). 

Rimaste a Don Matteo o peggio a Un posto al sole le nostre serie hanno un che di paesano che qualche timida apertura perlopiù occasionale e modaiola non riesce a eliminare.
Sono opere lineari e non ecosistemi interconnessi di ampio respiro ricchi di entrate e di uscite drammatiche, sono opere dalla piattezza desolante evocatrici semmai di episodi di cronaca nera romana o napoletana capaci soltanto di deprimere laddove ci vorrebbero sogno ed evasione verso altri luoghi e altri mondi.

Stando così le cose a un eventuale produttore di una serie televisiva made in Italy ci verrebbe  soltanto da dire per parafrasare una nota canzoncina “ma dove vai se il rizoma non ce lo hai?