Con Omicidio nel West End, Tom George e Mark Chappell, veterani della commedia televisiva, approdano sul grande schermo con un giallo che parodizza sé stesso e i cliché del genere.

A chi dice “Visto un giallo, visti tutti”, Omicidio nel West End non controbatte, anzi fa di questo polveroso concetto il suo mantra, mettendo subito in chiaro al pubblico, con una voce narrante cinica e disincantata, come andranno le cose, o meglio come dovrebbero andare nel cinema. Perché è proprio questo il dibattito che muove l’intero film: il cinema che guarda al teatro e viceversa.

La pellicola, infatti, si apre con un clima squisitamente teatrale e… si va in scena, ormai per la centesima volta, con Trappola per Topi, la celebre commedia di Agatha Christie.
Tutto sembra pronto per rendere la pièce un film e gli ingredienti necessari ci sono: l’arrogante regista arrivato da Hollywood per stravolgere ogni cosa, l’egocentrico sceneggiatore che vuole far sentire la sua voce, l’impresaria teatrale pronta a tutto in nome degli affari e una consistente schiera di attori pieni di sé.
Ogni personaggio porta sulle spalle il cliché che rappresenta, non lasciando nulla al caso, tutto è già scritto, come in un qualsiasi giallo che si rispetti.
Ma qui la domanda è una, anzi due: il film si farà? e chi ha ucciso il regista?

La storia di base è molto semplice: dietro le quinte del teatro un uomo viene assassinato e ci si mette alla ricerca del colpevole. Può essere stato chiunque nel buio del backstage, come nel più contorto Cluedo, ma non è questo, il solo, punto d’arrivo del film.

La narrazione si srotola sullo sfondo di una Londra anni ’50, colorata, fumosa e ancora legata all’arte teatrale, dove Agatha Christie è la regina indiscussa del giallo e del palco. A parlare per primo è Adrien Brody, nei panni del lascivo regista hollywoodiano arrivato per fare il suo film, Leo Kopernick, che sa di non essere il benvenuto in quell’ambiente, tanto da predire il suo futuro, ragionando secondo i canoni precisi del genere giallo. Il personaggio più odioso è sempre il primo a morire, e lui sa di esserlo, agli altri spetterà il compito di indagare o di sfuggire alle indagini.

Tutto è già scritto e la vittima è già predetta, proprio per questo, la suspense è volutamente ridotta al minimo, in una commedia che si muove tra palco e grande schermo, inciampando su sé stessa e su tutti gli oggetti di scena che rendono la pellicola artefatta e spavaldamente divertente.

Split screen, sguardo in macchina, inquadrature piene e precise al millimetro, che evocano Wes Anderson, ma con colori vividi e ombrosi, e una storia assurda che ricorda, a tratti, quella di Cena con delitto-Knives out, ma molto meno contorta, insomma non siamo davanti al classico whodunit.

L’atmosfera retrò, resa perfettamente grazie ad una scenografia che ricalca le fotografie della “vecchia Londra”, è lo scenario dove i poliziotti chiamati ad indagare sul misterioso omicidio sono due: il navigato e disilluso ispettore Stoppard e l’entusiasta novellina, l’agente Stalker, rispettivamente Sam Rockwell e Saoirse Ronan, perfetti in questo gioco tra serietà e comicità.

Tutti sono sospettati: attori, produttori e sceneggiatori, nessuno può lasciare il teatro e nessuno può ritenersi al sicuro. L’indagine si muove zoppicante, come è anche l’ispettore, tra il dietro le quinte dell’Ambassador e le viuzze londinesi, tra il vizio del bere di Rockwell e l’impegno ingenuo e spropositato dell’agente alle prime armi, che lo segue ciecamente col suo immancabile taccuino.

Una coppia comica, quasi senza volerlo, quella Rockwell-Ronan, che traina tutta la narrazione, con battute, battibecchi, misunderstanding e una frase ripetuta all’infinito: “Non saltare a conclusioni affrettate”; un monito, questo, tanto per la giovane Stalker, quanto per ogni appassionato di gialli, perché non sempre il più probabile colpevole è il vero colpevole. E la storia lo dimostra, girando su sé stessa in un labirintico gioco delle parti, tra grandi attori in splendidi abiti di scena e poliziotti che vogliono solo arrivare alla verità. Dialoghi perfetti quanto assurdi, smorfie e movimenti al limite della caricatura e sguardi sbigottiti rendono la pellicola assurdamente teatrale ed esagerata come fossimo tutti ai piedi del palco.

Omicidi che si susseguono, chiunque ha un valido movente, celato o esplicito che sia, e la Stalker è sempre pronta ad arrestare la qualunque, creando quei momenti divertenti che strappano le pagine del giallo. Come spesso si dice però, tutti i nodi vengono al pettine, soprattutto se il film è fatto in modo che “i nodi” siano svelati sin dall’inizio.

Via le congetture, via la suspense tipica delle letture di genere e anche la spasmodica ricerca dell’assassino, perché il vero fulcro della storia qui è la parodia, perpetrata da attori che si muovono con piedi pesanti sulla scena, ma mai schiacciando del tutto il genere della Christie.

Quella di Omicidio nel West End è, infatti, una buffa investigazione, portata avanti sia dai personaggi che dal pubblico, alla lenta ricerca di un colpevole, ma anche nei meandri della commedia, cinematografica o teatrale che sia. Una parodia rispettosa, quasi sentimentale, che restituisce il fascino dei lontani anni ’50, con abiti, musiche, automobili e atmosfere immersive, rese perfettamente dalla fotografia di Jamie Ramsay.

C’è da dire che, Trappola per topi, commedia poliziesca che va in scena ancora oggi, non è mai diventata un film, e l’escamotage di Tom George e Mark Chappell per portarla sullo schermo, senza incappare nei vari cavilli legali, è geniale. Si parla di omicidio, di teatro che non vuole farsi cinema, della finzione sul palco che si mescola alla verità della vita, di interessi che vanno ben oltre l’arte e di un mondo, quello del teatro, che ha ancora molto da dire.

La dicotomia vecchio e nuovo, teatro-cinema, ispettore-agente, è garanzia non solo di risate ma anche di più alte riflessioni, rivolte all’arte, al modo di viverla e di rappresentarla. Insomma, dopo Assassinio sul Nilo, in cui il Poirot della Christie non ne era uscito benissimo, si torna a parlare della scrittrice ma stavolta in un modo tutto nuovo.