Ancora oggi il nome di Paolo Rossi è caro ad ogni italiano. Persino a chi non lo ha mai visto giocare, a chi non ha avuto modo di chiamarlo affettuosamente “Pablito” in quell’estate di tanti anni fa e il pallone d’oro 1982 è il primo a meravigliarsi quando ragazzini di 12-13 anni fanno la fila per chiedergli un autografo o per strappargli un selfie.
“Ma sapete chi sono? Ve l’hanno spiegato?” chiede sempre. “Lo sanno” dichiara senza nascondere la sua meraviglia “lo sanno sempre. Si vede che per i nonni, i padri, sono rimasto quello di quell’estate spagnola”.
E che estate. Erano gli anni ’80, gli anni in cui l’Italia si dibatteva nella morsa del terrorismo rosso e nero, delle Stragi di Stato, esplodeva la Seconda Guerra di Mafia che avrebbe portato i Corleonesi a insanguinare la Sicilia e l’Italia intera.
Per tutti eravamo il paese del malaffare, dell’abusivismo edilizio, della mala-politica, delle tangenti, della Loggia P2 e della città arretrate, ma in quell’estate del 1982, i ragazzi del “Vecio” Bearzot ridiedero speranza ed orgoglio agli italiani.
La storia è nota, è ancora oggi considerata la più grande vittoria sportiva del nostro paese, nonché uno dei momenti più importanti, che segnarono una svolta non indifferente, che servirono anche a riappacificare chi magari stava da una parte e dall’altra delle barricate politiche, in un periodo in cui la Guerra Fredda creava ulteriori frizioni.
Partita molto male, con tre striminziti pareggi, l’Italia era vista come la Cenerentola di un mondiale che vedeva Argentina, Francia, Brasile, Spagna e Germania Ovest come sicure favorite, ed invece proprio contro l’Argentina di Kempes e del giovanissimo Maradona, arrivò il primo segnale di riscatto, un riscatto che coincise con la prima prestazione davvero convincente di Paolo Rossi.
Da lì in poi il giovane, veloce e astutissimo attaccante nato a Prato, avrebbe “giustiziato” il favoritissimo Brasile di Zico, Falcao e Socrates, la sorprendente Polonia e soprattutto messo il primo sigillo nella finalissima contro i tedeschi, di fronte agli occhi di un Sandro Pertini che intuì perfettamente quanto importante per il paese fosse quella serata a Madrid.
Ma chi era prima di quel Mundial Paolo Rossi? Il documentario di Michela Scolari e Gianluca Fellini Paolo Rossi – A Champion is a Dreamer Who Never Give Up vuole gettare una luce importante e rivelatrice sulla vita del grande goleador.
L’infanzia povera, gli inizi presso la piccola squadra del Santa Lucia, il riscatto tra le fila bianconere della Juventus, dove toccherà l’apice di una carriera contrassegnata da un inizio timido con una grande paura di fallire e con gravi problemi ad un ginocchio (operato per ben tre volte)
Paure, dubbi, ansie, cadute e lo scandalo calcio-scommesse, momenti di crisi che lo stesso Rossi rivendica come fondamentali nel suo percorso di vita.
Il documentario si prefigge l’intento di mostrare la straordinaria volontà di Paolo, quel “Never Give Up” che ben gli si addice e che è anche uno dei motivi che lo ha spinto da diversi anni ad abbracciare l’impegno sociale, per permettere ad altri di avere un futuro.
Lo vediamo infatti aggirarsi in Romania, a Bucarest, tra quei ragazzi abbandonati dalle famiglie che vengono assistiti dalla Fondazione Parada, e a cui Paolo Rossi rivolge il proprio augurio, il proprio incoraggiamento a non mollare, a non darsi per vinti nella battaglia della vita.
Perché sono i sogni che creano il futuro.
Prodotto dalla Film in Tuscany e in distribuzione nelle sale dalle prossime settimane, il docu-film è dedicato alla memoria di Scirea, Pertini, Bearzot, dei genitori di Rossi e del produttore cinematografico Robbie Little.
[…] la spingono a desiderare una vita migliore per lei e per suo figlio Paolo. Stesso nome del famoso Paolo Rossi, idolo del padre perduto troppo presto. Il bambino è un prodigio del calcio con un sinistro […]