Dopo una lunga chiusura adesso possiamo finalmente tornare al cinema.
In tutta Italia stanno riaprendo le sale con grande gioia di tanti spettatori in crisi di astinenza filmica e di insofferenza verso le piattaforme sostitutive.
A iniziare la ripresa è stato il cinema Beltrade di Milano il 26 aprile con una maratona che ha preso il via alle 6 del mattino alla presenza di molti nostalgici del grande schermo in attesa dell’evento.
A Roma è stata la volta del Nuovo Sacher gestito da Nanni Moretti che ha inaugurato la riapertura con Minari mentre il Caravaggio ha proposto il titolo fresco di Oscar Nomadland e il Greenwich ha optato per quel Mank già visto da molti in streaming.
Eventi simili sono avvenuti in tante altre città ma sono stati tutti accomunati dalla circostanza che a ospitarli sono state piccole sale di quartiere già locali d’essai con il loro pubblico di fedeli secondo una logica di diffusione territoriale del prodotto cinema in controtendenza rispetto alla pratica delle alienanti multisale di periferia.
Il successo che hanno avuto queste proiezioni sta a indicare un bisogno di tornare a poter vedere i film sotto casa dopo averli dovuti vedere o in casa oppure molto lontano da casa, un segnale che dovrebbe indurre a praticare una politica sociale di distribuzione e fruizione del cinema in ogni quartiere in piccole monosale come accade a Parigi e come accadeva anche da noi prima dell’avvento delle multisale.
Andare al cinema non è soltanto vedere un film è soprattutto un modo di socializzare sulla base di una esperienza condivisa davanti al grande schermo.

Nel frattempo anche le piattaforme possono essere utili per poter vedere qualche raro titolo di difficile reperibilità per chi non frequenta i festival specializzati. E’ il caso di Mubi che offre la versione restaurata di Femmine folli, il film girato nel 1921 da Erich Von Stroheim considerato uno dei capolavori assoluti del cinema della perversione.
Opere come questa ci auguriamo di poterle vedere un giorno anche nella saletta sotto casa in vista della rialfabetizzazione cinematografica di quel grande pubblico che i film è capace di capirli purchè possa poterli vedere senza dover sottostare alle logiche dominanti del pensiero unico e del mercato ad esso collegato (due cose che mal si conciliano con un’arte democratica e popolare quale è per definizione il cinema).
Questo sempre nella convinzione di cui era già sostenitore Artaud che “se il cinema non è fatto per tradurre i sogni allora non esiste”.