Due anni fa andai a vedere Una famiglia perfetta di Paolo Genovese, autore di Immaturi e relativo sequel,  in tutta onestà, mi piacque. Così mi sono voluto fidare ancora una volta di questo regista e, un pochino incuriosito anche dal trailer del film, mi sono infilato in una sala per cercare anche quest’anno l’umorismo sano, volgare quel tanto che basta, che trovai poco prima di Natale 2012 ma, purtroppo, non è stato così. Non si possono di certo negare i pregi della comicità che Tutta colpa di Freud propone: tempi comici azzeccati e un non banale modo di fare ridere (con qualche citazione qui e là che non guasta mai!), inoltre non possiamo discutere sulla bravura degli attori (primo tra tutti, Marco Giallini, interprete principale e filo conduttore delle tre storie di cui parlerò tra qualche riga). Tuttavia questa volta la scrittura di Genovese risulta traballante e confusa, forse addirittura troppo superficiale. Risulta poco credibile, infatti, trovarsi sullo schermo Anna Foglietta, lesbica che decide di cambiare orientamento sessuale, ma che si stupisce di una erezione, o che pensa addirittura che le donne etero facciano solo le faccende di casa, badino alla famiglia e nulla più. Purtroppo non riesco a credere ad una Vittoria Puccini che si innamora del suo scrittore preferito, senza però aver letto la sua biografia per scoprire che in realtà è sposato e con figli (“normale”, insomma). tutta colpa di freudAltrettanto incredibile è che la diciottenne Laura Adriani studi ancora il futuro anteriore. Sono tante piccolezze, questo è vero, ma messe insieme si trasformano in una grossa lacuna di sceneggiatura, la quale rende insopportabile la semplicità con cui Genovese si approccia alla storia, trasformando uno spunto interessante in un’accozzaglia di gag, simpatiche certo, ma vuote e prive di una struttura solida alle spalle, un po’ come il film. Tre figlie, tre storie, unico filo conduttore: il padre, Marco Giallini, credibile come psicanalista tanto quanto la sua primogenita è naturale nei panni di una eterosessuale. Ecco dunque l’ennesimo pretesto familiare che serve al cinema italiano per raccontare il solito cocktail di favole romantiche, l’ormai canonico terzetto (che è un quartetto ma solo per caso) di colpi di fulmine, di disillusioni amorose e di destini che si incrociano. I problemi di script si riversano anche sulle relazioni tra i protagonisti, molto semplici nella scrittura, i quali non hanno quasi mai reazioni spontanee, ma costruite e finte. A tal proposito possiamo citare il momento in cui Giallini si arrabbia definitivamente con la sua secondogenita: semplice, pacato e accademico, non accenna neanche uno sfogo nel momento in cui esclama “i padri devono fare i padri, non gli amici”, comportandosi per l’ennesima volta più da amico che da padre esasperato. Insomma, se il film precedente di Genovese era stato una piacevole sorpresa, questo nuovo lavoro è stato una mezza delusione. Una domanda nasce spontaneamente: e se il film di un paio di anni fa dovesse il suo successo al fatto che si trattava di un remake di una pellicola spagnola? La differenza nell’idea di base si sente, ma la regia non è da buttare nemmeno questa volta. Tutta colpa di Paolo, dunque? Non saprei, fatto sta che quel nome tanto famoso e tanto poco rassicurante inserito tra gli autori del soggetto di questa pellicola (Leonardo Pieraccioni) che scrive la storia assieme all’autore e a Paola Mammimi, mi fa pensare che le colpe non siano proprio tutte da attribuire a Genovese, che comunque, in quanto a direzione di attori, fa la sua discreta figura.

Mattia Allegrucci