La fame in aumento nei paesi poveri, le catastrofiche mutazioni climatiche e inoltre anche il perdurare dovunque della pandemia prefigurano una imminente apocalisse globale.
Il cinema ci ha abituato a scenari distopici da fine del mondo prodotti da varie cause naturali o umane, cause come un asteroide in collisione con il nostro pianeta (è quanto accade nel fracassone Armageddon girato nel 1998 da Michael Bay o anche in chiave filosofica in Melancholia realizzato da Lars von Trier nel 2011) oppure come epidemie letali inarrestabili che funestano un’intera nazione (come fa il virus che attacca la rabbia agli abitanti delle città inglesi in 28 giorni dopo girato in chiave horror da Danny Boyle nel 2002).

Se in questi e in tanti altri titoli sullo stesso tema (a cominciare dal prototipo in bianco e nero La fine del mondo, escursione nel 1931 di Abel Gance nel fantastico) il genere di riferimento era la fantascienza, adesso la data del finimondo nella distopia cinematografica si sta avvicinando in modo preoccupante fin quasi a coincidere con l’oggi.

Il caso più recente di questa diacronia quasi sincronica lo troviamo nel film The Halt  girato nel 2019 dal regista filippino Lav Diaz (visibile sulla piattaforma Mubi).
Qui è rappresentata con occhio lucido una doppia calamità, quella naturale dovuta all’eruzione di  un vulcano che fa piombare la capitale del paese indonesiano in una oscurità perenne con successiva pandemia e quella incarnata nella figura di un dittatore folle che, con il pretesto della pandemia, perseguita con crudele accanimento gi oppositori del regime con l’accusa di essere dei traditori venduti agli interessi dell’odiato Occidente capitalista.
Il racconto si articola in lunghi piani-sequenza che spesso risultano insostenibili per il loro rigore formale nella migliore tradizione del “cinema della crudeltà”, applicata in questo caso dal regista a un’opera di denuncia politica che alterna momenti di crudo realismo ad aperture di surrealismo dalla vena poetica (con anche momenti dal taglio documentaristicoo di estrema attualità come le scene con i droni che  inseguono gli oppositori e gli altoparlanti per le vie pattugliate da guardie armate che intimano “Chi non è vaccinato non può uscire dalla città”).

Intanto, nella speranza che la fine del mondo globale venga rinviata da noi e altrove, cerchiamo di trovare conforto nei film di imminente uscita nelle sale. L’augurio è che tra essi ce ne sia qualcuno che ridisegni il nostro essere nella realtà post-pandemica e non segua le solite vecchie logiche narrative soltanto spettacolari pre-Covid, film che  scavino in profondità e che facciano vedere l’invisibile invece di mostrare soltanto quello che tutti già vediamo ogni giorno fuori e dentro gli schermi (e uno di questi dovrebbe essere lo speleologico Il buco di Michelangelo Frammartino che sarà presentato al prossimo festival di Venezia).
Siamo sicuri che anche questa volta il cinema non ci tradirà con o senza green pass.