Tutti ricordiamo, alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, il grande successo riscosso da Joker, pluripremiato lungometraggio di Todd Phillips con protagonista un magnetico e indimenticabile Joaquin Phoenix. E se, durante la premiazione del festival, in molti si sarebbero aspettati una (meritata) Coppa Volpi proprio a Phoenix, ecco che, appena quattro anni più tardi, in seguito alla visione di Dogman – ultima fatica del cineasta parigino Luc Besson, anch’essa in corsa per l’ambito Leone d’Oro all’80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia – sono in molti a essersi innamorati di Douglas, il suo eccezionale protagonista, impersonato da un Caleb Landry Jones come non l’abbiamo mai visto. Sarà (finalmente!) Coppa Volpi? Al momento, è ancora presto per dirlo.

In Dogman, dunque, Caleb Landry Jones interpreta un giovane uomo che nella vita ne ha viste davvero di tutti i colori: dalle violenze in famiglia quando era ancora bambino (a opera di suo padre e di suo fratello maggiore), fino a un lungo periodo vissuto all’interno di una gabbia, insieme a un gruppo di cani da combattimento (gli unici esseri viventi a volergli davvero bene) e addirittura a un brutto incidente, a seguito del quale, a causa di un proiettile partito dal fucile di suo padre, egli è rimasto invalido, per sempre costretto su di una sedia a rotelle, dal momento che – essendo il proiettile ancora incastrato nella sua spina dorsale – anche soltanto pochi passi potrebbero ucciderlo.
Con tale background, dunque, non possiamo non aspettarci un protagonista “fuori dal comune”. Un artista di talento, un padrone affettuoso e premuroso, ma anche – solo se “strettamente necessario” – un assassino senza scrupoli. Douglas (e, di fatto, Caleb Landry Jones) è tutto questo. Ma è anche, al contempo, Edith Piaf, Marlene Dietrich, Marilyn Monroe (memorabili, a tal proposito, le scene delle sue esibizioni in un locale di drag queen, piacevolmente accompagnate da musiche senza tempo).
Già, perché, di fatto, uno dei (tanti) elementi che maggiormente colpiscono, durante la visione di Dogman, è anche il ricercato commento musicale, perfettamente in grado di conferire uno speciale pathos ad alcuni dei momenti più salienti.

Luc Besson sa il fatto suo quando si tratta di impressionare lo spettatore, su questo non v’è dubbio. Eppure, dobbiamo comunque riconoscere che, malgrado – come già menzionato – il suo indimenticabile protagonista, malgrado il nutrito gruppo di fedeli cagnolini in grado di realizzare cose straordinarie, malgrado colori sgargianti che ben si contrappongono ad ambienti tetri e squallidi, il film resta, di fatto, un puro giocattolone dalla sceneggiatura non troppo articolata e dalla messa in scena decisamente sopra le righe (in pieno stile bressoniano, almeno per quanto riguarda gli ultimi anni) che, sì, diverte, ma che, se considerato nell’ottica di un film che sta concorrendo addirittura per il Leone d’Oro, non sempre convince.
Poco male, però. Perché, malgrado ciò, non possiamo riconoscere al presente Dogman il potere di toccare, quando necessario, le corde giuste, di reggere un buon ritmo per tutta la sua durata e di coinvolgerci fin dai primi fotogrammi. E questo, si sa, non è assolutamente roba da poco.