Il cinema è da sempre l’arte che meglio di tutte sa intercettare i desideri e le paure di un popolo visto in un determinato momento della sua storia e sa offrire immagini compensatorie a tale richiesta collettiva.
Oggi una conferma di questa sua capacità è data dal grande successo di pubblico riscosso in tutto il mondo dal film di Todd Phillips Joker, un successo dovuto non solo alla indubbia qualità spettacolare dell’opera e alla memorabile interpretazione dell’attore Joaquin Phoenix ma anche e sopratutto al fatto di aver saputo rappresentare l’archetipo giusto al momento giusto.
Attraverso il bizzarro e inquietante personaggio di Joker il film offre una versione postmoderna dell’archetipo del Briccone Divino incarnato nella figura del clown in cui si trasforma un attore comico fallito di nome Arthur sofferente di instabilità mentale e nella vita umiliato da tutti. Per vendicarsi di quel mondo che lo ha messo ai margini l’uomo ricorre a una risata sarcastica, una risata che unisce in sé malinconia e crudeltà e che viene dal suo passato di individuo umiliato e offeso in una società retta dall’inganno e da una spietata competizione che esclude le persone sensibili e innocenti (lo sfondo della vicenda è una Gotham City degradata che è il luogo dell’ingiustizia sociale e della sopraffazione sugli abitanti più deboli).
Preda di una progressiva inflazione del suo inconscio Arthur- Joker diventa vittima della sua Ombra negativa e finisce nel tunnel oscuro della psicopatia con pulsioni criminali fino a ritrovarsi leader involontario della rivolta dei suoi simili contro il Potere. Come diceva Jung “avere un’anima è il rischio della vita” e di questo il nostro Joker ne sa qualcosa, lui che per aver mostrato di avere troppa anima viene condannato a diventare un mostro senza più anima .
Il merito culturale del film di Phillips, pur con molte concessioni alle esigenze dello spettacolo, è quello di aver assunto la “follia” come critica alla coscienza e alla società sovra-razionale e di aver aggiornato il discorso sulla malattia mentale nella chiave di quella anti-psichiatria in voga nel cinema degli anni ’70 (si veda Qualcuno volò sul nido del cuculo interpretato dallo stesso Jack Nicholson che ha svolto anche lui il ruolo del personaggio di Joker in uno dei film della saga di Batman).
Come sappiamo,in questa ottica la follia potrebbe anche essere una forma positiva di regressione in vista di una rinascita a patto che le condizioni esterne in cui si svolge il processo psicotico siano favorevoli all’integrazione della sfera inconscia con quella conscia. Ma questo purtroppo non accade nel caso di Joker che, a causa dei tagli imposti al servizio sanitario presso il quale è in cura e a causa dei tradimenti subiti sul piano privato, è destinato a precipitare nel più cupo delirio distruttivo (il suo elogio finale del caos ricorda quello terribile pronunciato prima di morire dal sovrano tradito dai familiari nel Re Lear di Shakespeare).
Arthur-Joker diventa un mutaforme dio Mercurio messaggero crudele di disordine e violenza, diventa lo specchio di quanti covano una rabbia sociale a lungo repressa pronta a esplodere in maniera incontrollata quando salta l’ultima barriera morale di un Io collettivo dall’equilibrio già molto precario, talchè si incomincia come bricconi e matti e si finisce diavoli.
Questa transizione è oggi quella in atto in molti paesi vittime della globalizzazione economica, come dimostra l’adozione da parte di molti svantaggiati della maschera da clown di Joker assunta a simbolo identitario di una umanità sofferente che reclama giustizia minacciando in casi estremi il caos totale nella società (cosa che sta avvenendo a Hong-Kong e nella Parigi dei gilet gialli ad opera delle centinaia di manifestanti che indossano tutti la maschera del nostro Joker).
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