Non c’è niente di più fumettistico che giocare con le origin story, e questo il Joker di Todd Phillips – vincitore del Leone d’Oro nell’ultima edizione del festival Venezia e ora in sala – lo fa egregiamente e con grande disinvoltura.
Todd Phillips dirige un film d’autore ma lo incanala perfettamente nell’atmosfera claustrofobica di Gotham e nell’universo fumettistico del Cavaliere Oscuro, dove nasce il Joker, giocando (perdonate il gioco di parole) con molti dei suoi personaggi, da un giovanissimo Bruce Wayne a un attento Alfred fino ai signori Wayne.
Thomas Wayne viene ritratto questa volta come un personaggio pressoché negativo, che rappresenta i ricchi che hanno dimenticato i bisogni della povera gente, come Arthur Fleck (un meraviglioso Joaquin Phoenix) che vive ancora con la madre, fragile e cagionevole, per prendersi cura di lei.
Un’escalation di violenza, sia interna all’inconscio di Arthur sia proveniente da elementi esterni della città, porterà l’uomo, che fa il pagliaccio per vivere, a diventare il Joker, Re del caos e della follia nonché futuro nemico numero uno di Batman.
Proprio fra interni ed esterni il film gioca (di nuovo) continuamente per tutta la sua durata: l’interno apparentemente fonte di sicurezza, ma in realtà pronto a esplodere con rivelazioni indesiderate da un momento all’altro e l’esterno della Gotham lurida, sporca, irrequieta, pericolosa che diventa essa stessa personaggio prominente della storia. Se si mette la testa fuori può succedere di tutto e si perde il controllo, come accade all’inizio allo stesso Arthur, picchiato senza motivo da una società ingrata e tracotante.
Ci sono gli interni e gli esterni di casa Wayne – con un cancello a separare Bruce da Arthur, allontanare il bene e il male – e ci sono ancora gli interni degli studios del personaggio di Robert De Niro, perno riflettente dell’ipocrisia della TV americana, tanto quella di allora quanto quella di oggi, che ci regala forse la sequenza più pregna di significato e più carica di emozioni contrastanti di tutto il film.
In un’opera tutta improntata sul concetto di commedia, così in voga adesso con le stand-up comedy, mettere al centro un late show americano è quanto di più riuscito Phillips potesse fare.
Ed è proprio nell’analisi e nella riflessione sulla società americana che Phillips dà il suo meglio, con una sequenza che è un po’ Taxi Driver, un po’ Re per una notte, ma anche un po’ Watchmen per questo suo essere degli anni ’70 così come dei giorni nostri, per andare a scomodare addirittura la tragedia greca, catartica nel suo epilogo, oppure la commedia neorealista in cui riso e dramma si devono mescolare per forza, sono due facce della stessa medaglia.
Il Joker di Phoenix coinvolge molto, ma la sua interpretazione a volte è un po’ troppo sopra le righe. E’ palpabile la sua lunga preparazione al personaggio e alla risata, così particolare, eppure il Joker di Heath Ledger aveva trovato un equilibrio nel non essere mai troppo inquietante eppure rimanere da brividi, che pare a questo punto irripetibile.
Joker è un film carico di momenti e idee importanti, ma anche imperfetto: per la durata, forse eccessivamente lunga; per il climax della parabola di Arthur, che forse avrebbe funzionato maggiormente con un esplosione unica finale invece che graduale lungo il film, anche se funzionale a mostrarne la trasformazione e presa di consapevolezza; per i troppi finali, in cui Phillips non sembra saper decidere con quale sequenza e inquadratura “epica” chiudere il proprio film e così opta per varie possibilità una dietro l’altra. Alla fine una scelta la fa, in effetti, ma forse non la più convincente. Una cosa però è certa: dopo la visione di questo film non riderete mai più nella stessa maniera.
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