Steso sul letto, riascolto dopo anni il concertone di Woodstock del ’69. Mi lascio coinvolgere da quell’atmosfera unica, sognante, ispirata. Il contesto culturale ed emotivo nel quale mi sono cacciato mi porta verso viaggi reali e magnifici, geografici ed onirici. La stanza lentamente si impregna di fumo buono e chitarre infiammate.
Sto bene qui, ma la mente non vuole saperne di restare chiusa in camera. Allora viaggia ancora e viaggio io con essa, pregustando il mio personalissimo road-movie…
Buio. Sonno profondissimo.
Due ore dopo mi sveglio, distrutto.
Ho sognato di possedere una moto, paesaggi maestosi e tramonti infuocati, un amico capelli lunghi e baffoni incolti, ho sognato di essere “Capitan America”!
Easy rider, è un film del 1969 diretto e interpretato da Dennis Hopper, con Peter Fonda (Wyatt “Capitan America”) e Jack Nicholson (George Hanson).
Un viaggio che taglia in due il sud degli Stati Uniti da Los Angeles alla Louisiana.
Due motociclisti guidati da una voglia di libertà assoluta e quasi anarchica, impregnati di cultura hippie, con i serbatoi carichi di dollari e le giacche di marijuana.
The Pusher dei paladini del rock Steppenwolf, lo scambio è avvenuto.
Wyatt e Bill trasportano un carico di cocaina dal Messico agli Stati Uniti, ora sono pronti per partire, il carnevale di New Orleans li aspetta.
”You know I’ve smoked a lot of grass O’ Lord,
I’ve popped a lot of pills
but I never touched nothin’
that my spirit could kills”.
L’atmosfera si scalda, il nostro spirito è più vivo che mai! E’ il tempo di montare in sella.
Born to be wild (sempre gli Steppenwolf).
Un manifesto, simbolo di un’epoca che consuma in fretta ma che rimane intonsa, pura, nell’animo di chi l’ha vissuta; come quei paesaggi sterminati, incredibili, dei quali abbiamo un primo assaggio mozzafiato.
Il tempo di riparare la gomma di una moto in una fattoria gestita da nativi americani e subito ci ritroviamo immersi nel verde sconfinato.
Wasn’t Born To Follow dei The Byrds descrive tutto ciò che chiunque ama questa vita farebbe:
”Me ne andrei verso il posto dove la cresta di diamante sta scorrendo
e vagherei per la foresta dove gli alberi hanno foglie a forma di prisma
e danno colore alla luce un colore di cui nessuno conosce il nome”.
E’ su queste parole, cantate dolcemente da Roger McGuinn che i nostri due rider fanno il primo incontro: un autostoppista hippie che sicuramente “non era destinato a seguirli”.
The Weight The Band, canyon assolati, vallate a perdita d’occhio, autostrade prive di qualsivoglia orizzonte, braccia spalancate verso il cielo: ”E metti il giusto peso su di me” canta Robbie Robertson. Condivisione.
Passano la notte attorno ad un fuoco, dialoghi sinceri e appassionati perquanto sconnessi e tanta erba da fumare.
Il giorno dopo accompagnano il loro silenzioso ospite alla comune dove egli è di ritorno. Tra la sua gente incastrata in utopie e sogni che sembrano ormai implosi in una confusione mistica ed irrazionale.
Conoscono due ragazze, nonostante l’urgenza di rimettersi in viaggio, non si negano a loro. Ripartono. Subito però vengono arrestati perchè sfilano, con i loro chopper luccicanti, tra gli ottoni di una parata, senza il permesso delle autorità.
In carcere conoscono un giovane avvocato alcolizzato, George, che li fa uscire di prigione e decide di aggregarsi a loro.
Tornano in sella. George indossa il casco dorato della squadra di football della sua città.
Il personaggio interpretato da Jack Nicholson è simpatico e buffo, una macchietta, con quel suo tic (gnek gnek gnek).
Appena sale in moto inizia a fare il verso agli uccelli, spalanca le ali, inscena una danza volatile e demenziale, in sottofondo la strampalata If You Want To be A Bird The Holy Modal Rounders è evidentementela canzone perfetta per confezionare il momento.
La prima notte lo iniziano all’uso della marjuana non senza qualche difficoltà.
Il risveglio non potrebbe essere più sereno e scanzonato Don’T Bogart Me dei Fraternity of Man, band in pieno stile ”volemose bene sessantottino”, attitudine ripresa in qualche modo da molte delle crew raggae-dancehall dei giorni nostri, invita a non ammazzare quel joint, pensiero comunque condivisibile.
Hendrix prende il sopravvento ed esce fuori tutta la contraddizione americana del caso. La chitarra di James Marshall Hendrix ruggisce sulle strade trafficate e sulle case della povera gente, sui carri dei coltivatori di cotone e sui sepolcri bianchi del cimitero.
A proposito di contraddizioni, presto Gorge muore assassinato per mano di un gruppo di bifolchi, nel cuore della notte.
Il viaggio però non è ancora finito.
La sperimentazione psichedelica di Kyrie Eleison The Electric Prunes ci porta in un bordello di New Orleans, lo stesso dell’indirizzo nel portafogli di George. Luci calde e soffuse, vestitini di seta succinti e stravaganti. Decidono di non consumare, non se la sentono. Escono in strada ad osservare da vicino il fantastico carnevale di New Orleans. Compiono un viaggio psichedelico in un cimitero di città, ripreso con toni quasi documentaristici, visto l’uso reale di lsd al quale gli attori si erano prestati. Tra i cinque minuti indelebili nella storia del cinema.
Il finale è di un cinismo terrificante, inaspettato.
Billy e Wyatt sono di nuovo in strada, It’s Alright Ma (I’m Only Bleeding) di Bob Dylan ma interpretata in questo caso da Roger McGuinn, è una canzone scritta di getto, col cuore in mano ed un piede nella fossa. Ci sono canzoni che combattono la paura, che rassicurano, anche se ormai è la fine.
”E’ tutto a posto mamma, sto solo sanguinando”, Billy e Wyatt stanno solo sanguinando, colpiti dalla mediocre normalità alla quale facilmente ci si abitua, colpiti dal pugno del risveglio di un mattino qualunque.
Titoli di coda: Ballad of Easy Rider Roger McGuinn.
”All he wanted
Was to be free
And that’s the way
It turned out to be
Flow river flow
Let your waters wash down
Take me from this road
To some other town”.
Tra preghiera e narcisismo, tra l’onirico e il cinismo. Tutto questo è Easy Rider. Erano gli anni sessanta.
Have a nice trip!