Negli ultimi anni, il regista giapponese Ryusuke Hamaguchi si è fatto decisamente onore nell’ambito dei più importanti festival internazionali. Basti pensare che soltanto nel 2021 il cineasta si è aggiudicato l’Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria, alla Berlinale con il suo Il Gioco del Destino e della Fantasia, mentre, appena pochi mesi dopo, eccolo vincere al Festival di Cannes il Prix du Scénario per l’acclamato Drive my Car. Mancava, dunque, soltanto la Mostra del Cinema di Venezia ad accoglierlo. Detto fatto. E così, dunque, in questa 80° edizione del festival lidense è stato presentato, in corsa per l’ambito Leone d’Oro, Evil does not exist, la sua ultima fatica.

Anche questa volta, dunque, egli non ci ha deluso. Anche questa volta, il regista è stato in grado di dar vita a un lungometraggio che per molti versi si differenzia sostanzialmente da quanto lui stesso ha realizzato in passato, pur mantenendo quella poesia e quel forte simbolismo che da sempre hanno pervaso le sue opere.

In Evil does not exist, dunque, il regista ci accompagna per mano in un piccolo paradiso naturale che rischia di svanire per sempre. Takumi e la sua figlioletta Hana vivono in un piccolo villaggio di montagna non lontano da Tokyo. Qui il tempo sembra essersi quasi fermato, si beve ancora acqua pura di sorgente e i ritmi del quotidiano non sembrano affatto “risentire” della vicina metropoli. La tranquillità degli abitanti, tuttavia, rischia di essere turbata nel momento in cui un’agenzia decide di aprire un camping di lusso, un glamping, proprio nel bosco nei pressi del villaggio, senza rispettare le necessarie norme igienico-sanitarie atte alla salvaguardia dell’ambiente. Si potrà mai fare qualcosa per impedire ciò?

Evil does not exist ci colpisce immediatamente per inquadrature fortemente evocative di fitti boschi o di laghi ghiacciati (ulteriormente valorizzate dalle essenziali ma pregnanti musiche di Eiko Ishibashi) e per momenti fortemente contemplativi, in cui i rumori della natura fanno spesso da protagonisti assoluti. Per poi, però, essere improvvisamente interrotti da un montaggio brusco e repentino, che sta chiaramente a presagire qualcosa di terribile.

Già, perché, di fatto, durante la visione di Evil does not exist, una certa sensazione di inquietudine ci accompagna dall’inizio alla fine. Ryusuke Hamaguchi, dal canto suo, ben sa coniugare ogni singolo elemento mostrandoci ora la vita tranquilla all’interno dei boschi (dove si può andare a prendere dell’ottima acqua alla sorgente e dove si può trovare del freschissimo wasabi) ora la freddezza del capitalismo e dell’arrivismo dei singoli all’interno di squallidi uffici, dove nessuno sembra avere considerazione alcuna per il benessere del villaggio stesso e dei suoi abitanti.

E poi, naturalmente, c’è la giovane Hana. Simbolo di innocenza, di purezza (al pari dei cervi che abitano nel bosco e che, di quando in quando, vengono cacciati), Hana, fragile e taciturna, sembra voler trovare a tutti i costi un proprio posto tranquillo, lontano da tutto e da tutti, nel momento in cui degli estranei tentano di minacciare il suo mondo. Ed è proprio nel mostrarci questo suo desiderio che il regista ci regala uno dei momenti più poetici, simbolici e visivamente potenti di questo suo prezioso Evil does not exist. Di fronte alla grandezza della natura, l’uomo non è nulla. E la stessa, prima o poi, ci metterà di fronte a tutti i danni che noi stessi le abbiamo arrecato e continuiamo ad arrecarle.