Un importante convegno di fisica sulle Alpi svizzere. Nuove, sconvolgenti teorie che, probabilmente, non troveranno mai dei consensi. Misteriosi omicidi e sparizioni. Strane nuvole all’orizzonte che sembrano non promettere nulla di buono. La costante ricerca di qualcosa che, forse, non verrà mai trovato. Il multiverso. Tutto questo (e molto di più) è The Theory of Everything, ultima fatica del regista, sceneggiatore e direttore della fotografia Timm Kröger presentata in anteprima mondiale in corsa per il tanto ambito Leone d’Oro all’80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
La storia messa in scena, dunque, è quella del giovane studente Johannes Leinert (impersonato da Jan Bülow), il quale sta lavorando da ormai molto tempo alla sua tesi di dottorato, ma che viene costantemente ostacolato proprio dal suo relatore, completamente in disaccordo con le teorie da lui formulate. Un giorno, i due partono alla volta di un convegno sulle Alpi, a cui un noto fisico iraniano dovrebbe prendere parte, al fine di esporre importanti e controverse teorie riguardanti la fisica quantistica.
Quest’ultimo, tuttavia, fa sapere all’ultimo minuto che arriverà al convegno con qualche giorno di ritardo e, nel frattempo, gli ospiti dell’albergo trascorreranno le loro giornate partecipando a cene di gala e sciando. L’incontro con l’affascinante e misteriosa pianista Karin (Olivia Ross) e, soprattutto, l’omicidio di un celebre fisico tedesco, però, cambieranno per sempre la vita di Johannes.

The Theory of Everything, dunque, coniuga sapientemente passato e presente senza mai risultare banale o retorico, ma dando vita, al contempo, a qualcosa di totalmente nuovo e soggettivo, che attinge a piene mani da quanto realizzato negli scorsi decenni e che guarda al futuro senza avere paura di sperimentare nuovi tragitti o nuovi linguaggi cinematografici. Immense distese di neve esercitano immediatamente su di noi un fascino magnetico, trasmettendoci, al contempo, un forte senso di agorafobia.
Luci e ombre creano un contrasto netto e deciso, il quale, a sua volta, si rivela la soluzione giusta per rendere il tutto ancora più misterioso, ancora più inquietante. Proprio secondo la tradizione del cinema espressionista.
E, infatti, nel realizzare questo suo The Theory of Everything, Timm Krõger si è lasciato affascinare non soltanto dall’Espressionismo, ma anche dalla fantascienza anni Cinquanta e Sessanta statunitense e, non per ultimi, dal cinema di David Lynch e di Alfred Hitchcock, conferendo al suo lungometraggio, al contempo, una propria, ben marcata personalità.

Immagini curante fin nel minimo dettaglio, una fotografia ricercata, ma mai troppo patinata, una regia composta ed esperta che ben sa coniugare scene d’azione con momenti di angosciante attesa sono, dunque, i veri cavalli di battaglia di questo prezioso The Theory of Everything.
E così, dunque, con questo lungometraggio di Kröger, questa 80° Mostra del Cinema di Venezia ci ha ancora una volta sorpreso con un film complesso e stratificato, che nel cavalcare l’onda del presente tira in ballo anche importanti questioni del passato, senza mai scadere nel già detto, ma regalandoci, al contrario, preziosi momenti evocativi e fortemente commoventi, come soltanto una malinconica melodia al pianoforte ascoltata all’interno di una stanza buia è in grado di suscitare.