Classe 1983,  Giuseppe Sciarra è un autore, regista, scrittore e attore pugliese che si distingue per la sua creatività con mente aperta e ricca di simbolismi.
Noi di Cabiria Magazine siamo certi che si sentirà parlare a lungo di questo artista poliedrico. Anche se, in verità, ha già catturato molte attenzioni grazie al suo cortometraggio Venere è un ragazzo a causa di una scena che ha destato scandalo, tanto da essere stato censurato e non ammesso a diversi festival. Con questo lavoro il regista mostra di avere carattere; racconta la verità del quotidiano e cerca di normalizzare realtà che molti ignorano.

Giuseppe Sciarra ama il cinema sin da bambino. Ha iniziato a girare dei cortometraggi sperimentali, prendendosi la libertà di osare. Quella libertà che solo il cinema indipendente può dare. Pur essendo autodidatta, il regista dimostra talento nel raccontare storie e personaggi anche complessi. Nelle sue opere parla di temi come l’amore, la violenza, la bellezza, la diversità, il bullismo, la scoperta e accettazione di sé.
Argomenti difficili da trattare in maniera originale, eppure Giuseppe Sciarra riesce a mostrarci il suo sguardo con grazia e un tocco di provocazione. 

Per ora ha scritto e diretto per lo più cortometraggi. Attualmente è impegnato nella postproduzione di una docu-serie e si sta occupando della presentazione ufficiale della sua ultima fatica: Ikos, un cortometraggio autobiografico che parla di bullismo, in maniera toccante e potente.
Inoltre, sta attualmente cercando una produzione per trasformare Venere è un ragazzo in un film. Questo corto è uno specchio, una finestra sul mondo lgbt ma, soprattutto, un inno all’amore: materno, fraterno, omo o etero, per se stessi o per qualcun altro.

Venere è un ragazzo è un’opera sulla complessità, sulla bellezza, sull’amore e sul discernimento nell’essere se stessi e sul ritrovarsi.
E’ la storia vera dell’attore Tiziano Mariani; è lui “il” Venere del corto. Un uomo che ama il crossdressing (travestitismo). Molte delle scene sono state ispirate da eventi realmente accaduti all’attore e la madre, il fratello e la compagna interpretano loro stessi in questa perla di cinema-verità del nuovo millennio.

Tiziano Mariani in “Venere è un ragazzo”

-Di cosa parla  Venere è un ragazzo?

Venere è un ragazzo è tante cose, ma soprattutto un cortometraggio sull’amore. Già questo dovrebbe far cadere qualsiasi polemica. Parla d’amore verso l’altro e quello verso se stessi.
Noi viviamo in una società che ci impone determinati modelli e parametri, dove c’è il culto dell’io. Un culto malato, esasperato che si fonda principalmente sull’immagine.
Il corto parla di questo: di tre persone che ricercano la propria immagine, la propria identità. Non trovandola, brancolano nel buio. Per carità, l’immagine è importante, ma i media ci stanno facendo il lavaggio del cervello; esasperano l’estetica, stiamo diventando delle caricature di noi stessi.
In Venere è un ragazzo si tratta questo argomento, anche se i protagonisti sono pur sempre ancorati alla loro dimensione umana. Vivono questo conflitto. Si raccontano anche delle situazioni esasperate.

Nonostante avessi scritto la sceneggiatura e preparato uno storyboard, sul set mi sono reso conto che era necessario improvvisare alcune scene. Questo perché le vite degli attori si sovrapponevano a quelle dei loro personaggi. Il cortometraggio si è così arricchito di un’autenticità che rende questo piccolo corto così intimo e reale. Si mostrano degli squarci di verità che colpiscono lo spettatore. Come quella di una madre che ha problemi di alcolismo oppure quella dell’amante del protagonista (un crossdresser che si prostituisce principalmente con una clientela femminile) che è ossessionata dal passare del tempo. La vediamo mentre si inietta il botox su una guancia. Immagini e temi forti, ricche di messaggi… che sono passati in secondo piano a causa di una scena che dura poco meno di un minuto.

-La famosa scena tacciata di blasfemia…

Si, quella famosa scena! Si tratta di una polemica sterile… Molto rumore per nulla come dice una famosa commedia di Shakespeare.  Secondo me non c’era assolutamente nulla di blasfemo. Tant’è che mi piacerebbe poter tornare indietro nel tempo per girarla appositamente blasfema!
Si tratta di una scena omo-erotica in cui un ragazzo con un crocifisso al collo si masturba pensando a un altro. Tra l’altro l’ho girata solo in primo piano, non si vede altro! In quanti film  si vedono uomini o donne che indossano crocifissi e fanno sesso? 
Eppure non si è creata una polemica di questo genere. La mia scena voleva mettere in contrasto la parte spirituale con la parte carnale. Di certo mai avrei pensato di creare tutto questo scalpore.

-Quindi hai subito una vera e propria censura per il tuo cortometraggio?

Più che di censura si è trattato di ostracismo. Semplicemente ci sono stati dei festival che hanno rifiutato la partecipazione del cortometraggio a causa di questa scena  oppure ci sono stati dei selezionatori che si sono opposti a darci dei premi. Effettivamente, in Italia se sei un autore poco conosciuto appena fai qualcosa che può apparire fuori posto ti sbranano immediatamente. Ad esempio, un autore come Sorrentino (che io adoro) in “The Young Pope” ha fatto delle cose ardite, ma lui è un nome e può farlo. Noi comuni mortali, no. Questo è ingiusto, perché aldilà della popolarità, gli artisti dovrebbero stare sullo stesso piano. Si guarda il nome e non il messaggio. Lo stesso vale per il pubblico, perché le persone si scandalizzano di un’opera se l’artista è sconosciuto, ma se la dirige un nome importante, la appoggiano e si sentono alternativi a sostenerla.

-E’ la prima volta che ti ritrovi al centro di una polemica di questo tipo?

In realtà,Venere è un ragazzo è stato il primo episodio di ostracismo. Io ho iniziato realizzando corti sperimentali e ho sempre utilizzato metafore e simbolismi religiosi, perché mi piacciono, li trovo poetici. Ai miei esordi ho girato un cortometraggio che si chiama Santità, montato con delle fotografie.
Parla di una coppia lui-lei che vive un’estasi mistica in una chiesa. Vedono queste immagini di Santi e, tornati a casa, continuano a vivere quest’idillio. Questo evento è utile per giungere a una rivelazione all’interno del loro rapporto: il maschio della coppia vuole travestirsi da donna e con l’amore della propria compagna e la benedizione dei Santi, l’uomo trova il coraggio di vivere questa nuova esperienza.  Così, lui coniuga la fede cristiana con il travestitismo.  
Questo cortometraggio, a mio parere, è molto più esplicito e molto più provocatorio di Venere è un ragazzo. A partire dal titolo per arrivare alla presenza dei santi o alle scene in cui il protagonista  indossa una corona di spine con un angelo che lo aiuta nella vestizione. Eppure, questo cortometraggio non ha subito ostracismi e polemiche. A volte certe azioni di censura sono veramente sterili e superficiali. In effetti, devo ringraziare i bigotti che hanno contestato quella scena di Venere è un ragazzo, perché hanno acceso i riflettori sul mio lavoro e hanno donato al corto un’attenzione inaspettata. Probabilmente senza questa polemica il cortometraggio non avrebbe avuto tutto questo interesse; anzi, l’indignazione ha avuto l’effetto opposto della censura, perciò… non mi resta che ringraziare le mentalità chiuse per la pubblicità incredibile che hanno fatto a Venere è un ragazzo.

-I tuoi lavori sono ricchi di simbolismi, soprattutto religiosi. Parlaci di questa tua passione…

I simboli per me sono fondamentali. 
In Venere è un ragazzo, ad esempio, ho inserito uno specchio. Faccio vedere i protagonisti che cercano la propria identità attraverso di esso. Lo specchio  funge da significante dei protagonisti. Nella scenografia dei miei lavori gli oggetti non sono messi a caso, ma hanno dei sottotesti, soprattutto legati alla religione, alla filosofia e all’occultismo. Ho un debole particolare per i Santi.
Sono italiano, sono melodrammatico. I Santi li trovo melodrammatici; perfetti per essere utilizzati in opere filmiche. Sono figure tragiche, poetiche che si possono prestare a tanti tipi di metafore che rappresentano un lato estremizzato di noi esseri umani. Queste persone cercano nel martirio il piacere sessuale, questa è la realtà. Io non riesco a capire perché ci sia tutto questo tabù verso il sesso ancora oggi.  Il percorso spirituale più bello che un essere umano possa fare è attraverso la scoperta della propria sessualità, naturalmente in base ai propri gusti e alle proprie esigenze.  Ma secondo me è attraverso il sesso che conosciamo veramente noi stessi.

-Quando è nato il tuo amore per il cinema?

Io ho sempre avuto la passione per il cinema. A sette anni vedevo di nascosto Twin Peaks, mi piaceva da morire. Mi faceva paura, ma non riuscivo a resistere al fascino di Lynch. Adoro il genere horror e, in particolare, Dario Argento.  Ma il mio grande amore è Ingmar Bergman. Lui, insieme a Pasolini e Fellini, sono i miei registi preferiti.
Tutti e tre hanno in comune l’importanza che danno al simbolismo delle immagini. In  particolare amo Fellini, perché  in comune con lui ho una passione per l’occultismo. Mi piace il cinema connesso a questo mondo e Fellini è l’emblema di questo binomio, basta pensare a Giulietta degli spiriti. Adoro il contatto con il trascendente.
Io, per esempio, in Ikos ho inserito dei riti di purificazione, degli atti di psicomagia. Ci sono scene in cui recito con un cuore in mano ( niente paura, era di maiale!), sono presenti riti funebri, il simbolismo della luna e del sole, la rinascita… una sorta di atto di psicomagia alla Jodorowsky, per intenderci. 

-A proposito di IKOS , quanto hai lavorato per questo tuo progetto?

Il covid ci ha sbattuto in faccia la morte, uno dei più grandi tabù della nostra società. Lo scorso anno, mentre ero chiuso in casa, ho ripensato alla mia vita e in quel momento ho capito l’importanza del “carpe diem”. Così ho iniziato a scrivere Ikos, mettendo nero su bianco gli episodi di bullismo che ho subito sin da bambino. Faccio una premessa: sono momenti che ho ampiamente superato, sono molto fortunato a esserne uscito fuori. Anzi, se ci ripenso adesso, tutto quello che ho subito mi sembra addirittura surreale. Però, dentro di me, sentivo di dover fare questo atto di denuncia. Non lo dovevo solo a me stesso, ma anche alle persone che stanno vivendo ora quello che in passato ho vissuto io.

In Ikos parli di bullismo, in prima persona…

Tengo moltissimo a Ikos. Per me è un vero e proprio atto di denuncia. Si parla spesso di bullismo, ma si riesce con difficoltà a far capire a pieno questo tema. Dirò una cosa provocatoria, lo società attuale è dalla parte dei bulli, non delle vittime. I bulli ritraggono lo stereotipo patriarcale che vuole l’uomo in un certo modo, un concetto basato sul mostrare la propria forza sugli altri maschietti. Si sottomette l’altro per essere più virile. Perché io in quanto uomo devo ricorrere alla violenza? Ci sono tanti modi di essere uomini. Perché si deve assecondare qualcosa che non si condivide? Per assurdo io dovrei ringraziare anche i bulli. Perché ho una grande empatia grazie al dolore che ho vissuto. La sofferenza ti puo’ portare a diverse strade, in termini positivi ti può aprire dei canali; è in grado di farti interagire meglio con le persone. La mia sensibilità spiccata nel relazionarmi con gli altri, viene sicuramente dal mio tragico vissuto.  Io devo la mia sofferenza. L’arte è la mia valvola di sfogo, grazie ad essa sono riuscito anche a superare il mio passato. E grazie alla mia empatia, tra l’altro, non ho difficoltà a mettermi nei panni degli altri. Sicuramente anche per questo mi viene facile dirigere gli attori sul set.

-In cosa si differenzia Ikos da altre opere che trattano il tema del bullismo?

L’intenzione di Ikos era quella di raccontare una storia in maniera onesta. Per questo ho trattato il bullismo attraverso le vicende dolorose che ho vissuto in prima persona. Non mi sono voluto vittimizzare né ho voluto spettacolizzare il dolore. I  media attuali, ahimè, oggi fanno questo: spettacolarizzano le tragedie. Questo modo di fare  non è altro che la negazione del dolore. Con Ikos, invece, io ho voluto mostrare la sofferenza per quella che è, senza orpelli. Certo, mi sono servito di una messa in scena  molto teatrale per certi versi, però non ho occultato il dolore. Il risultato è che Ikos è un pugno allo stomaco, una batosta. Ed è così che deve essere, altrimenti non scuoti le persone e non le fai riflettere. Il ruolo del protagonista è interpretato da Edoardo Purgatori. Anche l’attore, nella sua infanzia, ha subito atti di  bullismo. Non ai miei livelli, per sua fortuna, ma questo passato in comune ha dato una motivazione maggiore alla sua interpretazione, che risulta ancora più sentita.  Con Ikos speriamo di fare molto rumore… questa volta non per nulla.

PROMO DI Ikos

Un’ultima, ma fondamentale, domanda: “Perché fai cinema?”

Per me fare cinema è una missione, una sorta di gesto di ribellione. Io nella vita di tutti i giorni sono una persona molto posata, tendo spesso a evitare il conflitto, a essere misurato. Nel cinema faccio l’opposto, sono un ribelle, sono un provocatore, cerco lo scontro. Sono l’esatto contrario di quello che sono nella vita e meno male che ho questa valvola di sfogo altrimenti impazzirei! Il cinema per me è un atto liberatorio, ma anche politico, anche se non schierato necessariamente verso un’ideologia.  Per esempio, in Venere è un ragazzo, ho raccontato una storia in maniera originale. Non ho voluto mostrare il classico travestito che frequenta uomini, ma uno che va con le donne. In più, ho voluto far vedere delle donne che pagano un uomo per ricercare non solo piacere, ma anche affetto, amicizia. Le emozioni sono complesse, è riduttivo fissarsi sull’etichette imposte dalla società. Per me il cinema è una battaglia contro gli stereotipi, un tema che voglio portare avanti nella mia carriera, a costo di andare incontro a ostracismi e censure.