Quando uscì al cinema nel dicembre del 1991, JFK – un caso ancora aperto di Oliver Stone, ebbe conseguenze politiche e culturali non da nulla. Su tutte, persino la nascita di una commissione per indagare su un eventuale complotto che avrebbe determinato l’assassinio di Kennedy, ucciso a Dallas il 22 novembre del 1963, una giornata tra le più iconiche e tragiche della storia moderna.
Ancora oggi, è uno dei film “complottisti” più considerati, amati e importanti della storia del cinema, da certi punti di vista forse il capolavoro politico di Oliver Stone, il suo attacco più riuscito al fronte conservatore che in quegli anni, guidò l’America verso il disastro.
Ora, a trent’anni da quel capolavoro, Stone torna con una miniserie documentario per replicare a quanti, in questi anni, hanno bollato come speculazioni le sue e tante altre teorie atte a confutare la verità “ufficiale”, cioè che fu Lee Harvey Oswald a uccidere il Presidente agendo da “pazzo solitario”.
JFK Revisited: Through the Looking Glass, non è sicuramente un prodotto leggero o consigliato a chi cerca divertimento o distrazione.
Stone non ha badato a prudenza o senso della misura, ma di certo non si può negare che il risultato finale, sia il più completo, interessante e documentato atto di “contro-cultura recente”.
Le fonti, i documenti, la Storia dell’America convogliano nelle 4 ore di quest’opera fiume minuziosa, forse leggermente autocelebrativa soprattutto nel confermare un certo narcisismo di maniera tipico di Oliver Stone.

Qui vi è tutto ciò che ha sovente scosso la coscienza americana: la realtà putrida e scomoda del “Meraviglioso Paese”, il volto violento, feroce della Casa Bianca e dei suoi inquilini, come e perché quel giovane ex capitano di marina avesse deciso di smantellare il concetto di interventismo americano globale.
L’America difendeva i propri interessi economici con ogni mezzo, anche il più brutale, in ogni paese. Dal Congo all’Indonesia, dall’Indocina all’Algeria. La CIA e la mafia erano legate a filo doppio in funzione anticomunista e antidemocratica, fin dai tempi della Seconda Guerra Mondiale avevano creato una diade che avrebbe intossicato i Servizi e l’FBI grazie alla complicità dell’allora direttore Edgar J. Hoover.
Questo nuovo JFK ha la dimensione macro e micro, ci parla dell’autopsia fatta a Dallas sul corpo di Kennedy da medici impreparati. Mostra i testimoni e gli esperti intimiditi perchè minacciati. Arriva alla politica estera e la crisi di Cuba fino a descrivere lo scontro tra Casa Bianca e pentagono.
Siamo ben oltre la rassicurante narrazione di una generale debacle dell’apparato di sicurezza in quei giorni a Dallas, dal momento che Stone ci mostra il clima politico, gli oscuri uomini che avevano reso la CIA una sorta di Stato nello Stato, seguendo un disegno eversivo e fascista.
Tutto, stando a ciò che si vede in questo JFK, non fa che rafforzare la tesi per cui quell’omicidio si stato l’estremo gesto di un Paese che per vizi economici e forzature politiche è sempre stato guerrafondaio, fino al punto di il propio Cesare, quello che aveva capito -al contrario di tutti loro- che tutto sarebbe finito nel sangue e nella sofferenza.
Per Stone anche Kennedy non è esente da colpe, la più grave è stata quella di non aver saputo leggere la situazione e agire in tempo sistemando i problemi dei CIA.
Si capisce perché JFK non abbia avuto distribuzione negli USA, sia Netflix che Amazon sono impauriti dal clima di oscurantismo che perdura.
L’eredità politica di Kenndy aleggia come un fantasma dalle cattive intenzioni americane, ci parla del tradimento verso la Generazione Gloriosa. La sua morte, rimane un monumento alla bugia del sogno americano, la lapide su quella Camelot che Stone ci descrive come un regno fatto di real politik illuminata, basata sui fatti, sulla conoscenza, non su quel fanatismo nazionalistico che ha guidato gli Stati Uniti verso l’ignominia che oggi tutti conosciamo.