Nelle pieghe del tempo è la trasposizione cinematografica del primo volume della saga sci-fi per ragazzi creata dalla scrittrice statunitense Madeleine L’Engle nel 1963. La Walt Disney Picture per questo adattamento sceglie di mettere dietro la macchina da presa la regista afroamericana Ava DuVernay, che già conosciamo per il successo ottenuto nel 2014 con il film drammatico Selma – La strada per la libertà e per essere stata la prima donna di colore ad aver ricevuto una nomination ai Golden Globe e ai Critics choice award.
La quattordicenne Meg Murry, figlia di scienziati di fama mondiale, è la classica preadolescente insicura. Ha poca stima di sé e fatica ad integrarsi a scuola. Dopo la misteriosa scomparsa del padre, i suoi brillanti voti crollano miseramente. Vive con la madre disperata a causa dell’assenza del marito e il geniale fratellino, Charles Wallce.
In una notte buia e tempestosa –c’è sempre una notte così all’inizio delle storie misteriose– nel giardino di Meg spunta una strana donna che dice di chiamarsi Signora Cosè e presenta ai piccoli di casa Murry le sue due colleghe: la Signora Quale e la Signora Chi. È evidente, le tre figure sono entità mistiche dagli strani poteri e spediscono immediatamente Meg, suo fratello e il compagno di scuola Calvin in un’avventura oltre lo spazio alla ricerca del padre intrappolato in un’increspatura temporale.
Il viaggio dei tre ragazzini sarà formidabile e non mancherà la lotta con un nemico potente e sibillino, ma per tornare a casa Mag dovrà guardare dentro sé stessa e accettare i suoi difetti, secondo il più classico cliché narrativo del genere young adult.
Leggendo i nomi del cast tecnico e artistico salta subito all’attenzione che Nelle pieghe del tempo regna sovrano il pink power. Tutte donne, tenaci e determinate, comprese la giovane protagonista, Storm Reid, e le favolistiche madrine interpretate da Oprah Winfrey, Reese Witherspoon e Mindy Kaling. Forse possiamo leggere questa produzione come una nuova marcia reazionaria sulla Hollywood fallocentrica che ultimamente è venuta alla ribalta della cronaca.
Per questo film alla DuVernay è stato concesso un budget di quasi 100 milioni di dollari, tutto devoluto alla costruzione dei mondi fantastici e delle location ricreate in post produzione. Nelle pieghe del tempo è girato quasi tutto in computer grafica. La visione complessiva è affascinante, ma presto ci si rende conto che la messa in scena è un po’ confusa e non nelle corde della DuVernay abituata a dirigere pellicole dal respiro classico dove l’intervento degli effetti speciali è ridotto al minimo indispensabile.
Il film, in fin dei conti, appare frammentario e le atmosfere perdono l’iniziale vocazione fantascientifica. Alcuni buchi di sceneggiatura tendono poi a compromettere la fluidità del film. Inoltre non tutte le scelte stilistiche sono coerenti e si perdono spesso in primi piani superflui che spezzano il ritmo delle sequenze d’azione, davvero troppo poche per un film d’avventura.
Gli unici punti di forza rimangono quindi le tematiche, accennate con intelligenza e mai troppo ingombranti. Sono le stesse del romanzo originale che rivisitava in chiave sci-fi il dualismo morale tra buono/cattivo e la crescita degli adolescenti, avvalendosi di una scrittura agile e coinvolgente.
Nelle pieghe del tempo conserva la struttura narrativa e le problematiche tipiche del romanzo per ragazzi di stampo fantasy, e così va inteso. È dunque evidente che le major hollywoodiane siano alla ricerca del nuovo Harry Potter, ma durante il percorso hanno incontrano troppe creature fantastiche e piccole storie drammatiche di bambini speciali.