Forse le forme sinuose del violino raffigurano al meglio l’idea della musica colta che, tra classicismi e sperimentazioni, è riuscita ad attraversare i secoli, passando dall’élite delle corti al popolo di YouTube. Con La Mélodie il regista algerino Rachid Hami racconta il potere benefico esercitato dallo strumento a corde nato nel Cinquecento, ma non riesce a imboccare la strada del rinnovamento e si incastra in un meccanismo arrugginito dal tempo.
Alla soglia dei cinquant’anni, il musicista Simon Daoud (Kad Merad) decide di insegnare violino agli alunni della sesta classe del professore Farid Brahimi (Samir Guesmi), in mancanza di migliori opportunità. Rischiando a volte di perdere la pazienza, il maestro adotta dei metodi d’insegnamento abbastanza severi nei confronti dei dodicenni che frequentano una scuola alle porte di Parigi. Tra loro c’è Arnold (Renély Alfred), un ragazzo affascinato dallo strumento e che rivela un innato talento.
Fin dalle prime inquadrature de La Mélodie è chiaro che il desiderio principale del regista di Choisir d’aimer sia quello di mettere sotto la lente d’ingrandimento le vicissitudini di un adulto introverso e solitario alle prese con adolescenti aggressivi e irrispettosi. Ma lo scontro tra i due mondi non è così acceso come Hami vorrebbe far intuire attraverso la sceneggiatura curata a sei mani, a causa soprattutto di una direzione nebbiosa e povera di slanci.
Nel probabile tentativo di costruire un incrocio tra la cruda realtà di Pensieri Pericolosi e il sano divertimento di School of Rock, il regista perde l’equilibrio e cade ai piedi di un impianto dall’identità indefinita. Hami vorrebbe dare priorità al valore pedagogico della musica ed esaltarne le proprietà curative, evitando al contempo facili retoriche sull’integrazione razziale. La scelta si traduce però nell’incapacità di offrire nuovi spunti inerenti la diffusione del messaggio educativo nel contesto multietnico.
La sovrabbondanza di chiaroscuri e l’alternanza di dinamiche ridondanti tradiscono lo stile apparentemente asciutto ed essenziale, mentre lo script de La Mélodie non è mai in grado di ispessire le relazioni tra i protagonisti, nonostante la naturalezza dei dialoghi. Se Merad non sembra a proprio agio nei panni di Simon, l’interpretazione di Alfred è l’àncora di salvezza di una pellicola che trova nella colonna sonora firmata da Bruno Coulais la nota più alta.