22 Novembre 1963, Dallas, Texas, Delay Plaza. C’è ancora il sole dell’estate, per le strade c’è la folla delle grandi occasioni visto che siamo in piena atmosfera elettorale e a visitare la città c’è nientemeno che lui, il presidente-ragazzo, l’ex eroe di guerra del Pacifico, il simbolo della nuova Camelot, il presidente più amato e detestato della storia americana fino a quel momento: John Fitzgerald Kennedy.

John Fitzgerald Kennedy: la ricostruzione storica della morte del presidente

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L’auto del più giovane Presidente di sempre trasporta lui, la first lady Jaqueline Kennedy, il governatore del Texas John Connoly e sua moglie Nellie.
Nel momento in cui imbocca Elm Street, si sentono degli spari, quanti sarà solo uno dei tanti motivi di dibattito di quella tragica ed epocale giornata.
John Fitzgerald Kennedy viene colpito da diversi colpi, l’ultimo, quasi gli fa saltare la testa, la moglie Jackie cerca quasi di scappare in preda al panico, sono momenti terribili per l’America e per il mondo intero. La notizia fa il giro del globo, alle 15.01 Edgar J Hoover (Direttore dell’FBI dal 1935 al 1972) annuncia che “forse ha per le mani l’assassino del Presidente”: si chiama Lee Harvey Oswald, è un ex marine e simpatizzante dell’estrema destra, catturato perché ritenuto responsabile dell’uccisione di un agente di polizia di Dallas.
Ciò che successe dopo, l’incriminazione di Oswald, la sua morte per mano di un piccolo boss della mala, la tragedia di un paese, di una generazione, che avevano creduto in un sogno, in un presidente che poi in realtà fu sicuramente meno santo, pulito e glorioso di quanto poi lo si dipinse, è noto.

John Fitzgerald Kennedy: come il cinema ha raccontato il presidente USA

Il cinema ha parlato di quei giorni, delle teorie, dei complotti, del dramma, di ciò che rappresentò quel giorno e lo ha fatto creando film e serie tv che sovente hanno diviso, hanno fatto discutere, hanno creato addirittura iter legislativi e giuridici per fare luce su uno dei misteri più oscuri e terribili dell’era moderna.

Già pochi mesi prima della morte di Kennedy, uscì uno dei film complottisti più belli di sempre, The Manchurian Candidate, con un grande Frank Sinastra, dove si mostrava un ex eroe di guerra, programmato “mentalmente” dai comunisti in Corea per uccidere un candidato alle Presidenziali americane, con il sostegno di insospettabili schieramenti sul fronte interno. Fa rabbrividire se pensiamo che per molti all’epoca, Oswald era un agente comunista infiltrato per eliminare quel presidente che aveva sconfitto l’URSS durante la crisi dei missili di Cuba e che guidava l’assalto al resto del mondo contro il “pericolo rosso”.

Già…la crisi di Cuba. Quella crisi è al centro di un film bello e sottovalutato del 2000, 13 Days di Roger Donalson, con Kevin Costner, Bruce Greenwood e Steven Culp. Ambientato in quei giorni difficili del 1962, quando Cuba sembrò essere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso dell’olocausto nucleare, purtroppo questo film è passato ingiustamente sotto traccia.
Donalson ci mostrò la realtà di una Presidenza in cui il Pentagono e l’apparato bellico, spingevano per una seconda Baia dei Porci, in contrapposizione a JFK ed il suo entourage, che invece colsero la profonda differenza di quella Guerra Fredda, che era scontro ma anche dialogo, dove l’immagine e i mass media contavano come e più delle pallottole. Un film che rese benissimo la portata della rottura tra ciò che era la politica prima di Kennedy e ciò che fu dopo, così come la totale ostilità di certi ambienti politici ai Kennedy.

Kennedy conosceva la guerra, aveva servito con valore nel Pacifico a bordo di un Pt-Boat, una di quelle velocissime imbarcazioni d’assalto usate per veloci attacchi alle navi o per recuperare naufraghi. PT 109 fu il primo caso di un film su un Presidente ancora in carica, e di certo aiuta a far capire come fosse visto da una gran parte di elettorato: un eroe, un uomo giovane e pieno di energia, saggezza e vitalità. Naturalmente oggi sappiamo che Kennedy fu anche ben altro, ma di certo la sua visione politica e la sua vita, erano e rimangono un mito degli USA, così come la sua morte.

John Fitzgerald Kennedy: la morte del presidente USA al cinema

JFK di Oliver Stone

Una morte che ha in JFK di Oliver Stone, il più grande tributo mai fatto, un capolavoro vero e proprio, da certi punti di vista il miglior film del grande cineasta americano, che del resto anche in Nixon – Gli Intrighi del Potere avrebbe in qualche modo parlato della rottura che i Kennedy simboleggiavano.
In JFK invece, Stone mise sul banco degli imputati il “sistema”, i “poteri forti”, tutto quel fronte che per un motivo o per un altro non poteva permettere che Kennedy proseguisse con la sua politica. I militari, il pentagono, le industrie belliche, la mafia, l’eversione di destra, tutto il mondo di tenebre e potere venne mostrato da Stone in un film-fiume fantastico, inquietante, da cui emergeva il ritratto di un paese che di lì a poco avrebbe perso la propria anima, la propria innocenza (o supposta tale).
Oliver Stone, con un cast stratosferico, ci mostrò un intrigo che partiva da lontano, dipinse il terribile perché di quella morte, costruì un iter narrativo che faceva comprendere quanto l’ipotesi del “folle solitario” fosse (e sia ancora oggi) del tutto indifendibile, ma sicuramente perfetta per far sopravvivere il sistema di potere che aveva distrutto i Kennedy. La famiglia “reale” che non voleva più saperne del Vietnam, che voleva chiudere con la Guerra Fredda e mettere mano alle problematiche razziali ed economiche del paese. Ecco il loro “crimine”. 

Parkland di Peter Landesman

Di tutt’altro avviso invece il modesto e poco incisivo Parkland, che ci mostrò quella tragica giornata a Dallas, seguendo il punto di vista dei familiari di Oswald, dei passanti, di quel Zapruder che involontariamente ne impresse su pellicola la morte con la sua videocamera, degli agenti inetti dell’FBI, delle guardie del corpo e dei medici chiamati ad esaminare il corpo della illustre vittima.
Il film di Landesman fu sostanzialmente conciliante con la versione ufficiale, dette ogni responsabilità ad una FBI inetta, ad un Oswald descritto come un pazzo paranoico, la cui morte per mano del mafioso Jack Ruby era quasi un’opera di giustizia. Niente di che, però rimane sicuramente efficace nel mostrarci punti di vista micro di quell’evento macro.

John Fitzgerald Kennedy: la famiglia del presidente USA sul grande schermo

Bobby di Emilio Estevez

La stessa cosa fatta da Emilio Estevez nel bellissimo Bobby per parlarci della morte di Robert Kennedy, di ciò che rimaneva di quel sogno, del secondo trauma che si aggiunse alla morte di John, che aleggia per tutti i 120 minuti di un film struggente, intelligente e originale.
La morte di Bobby, per mano dell’ennesimo “lupo solitario”, segnò anch’essa profondamente l’America, sancì la fine di un periodo di forte rinnovamento, soprattutto per le generazioni più giovani, così come la possibilità di sganciarsi da una politica estera guerrafondaia e criminale.
Un film che offre uno spaccato anche sociale, etnico, su ciò che ruotava attorno al sogno politico dei Kennedy, sull’America di quegli anni, sull’incubo del Vietnam.

 

Jakie di Pablo Larrain


Nel 2016 è stato poi Pablo Larrain a donarci un altro sguardo intimo, particolare di quel giorno a Dallas, con Jackie (leggi la recensione), dove una bravissima Natalie Portman, interpretava la First Lady più famosa di sempre, quando concesse a Life un’intervista divenuta iconica.
Dolente, cinica, piena di rabbia, la Portman ci mostrò il volto nascosto della Casa Bianca, una donna che aveva comunque dovuto sopportare di tutto da un uomo infedele, narciso tanto quanto appassionato e deciso nel fare ciò in cui credeva.

Jackie ha ridato umanità, anche straziante e sporca di sangue, a quel Presidente, a quella First Lady bellissima, ci ha ricordato la terribile realtà di un giorno che distrusse non solo una Presidenza ma tante vite.

The Butler di Lee Daniels

Qualcosa che anche The Butler, affresco storico interessante anche se un po’ semplicistico, ci mostrò della Presidenza Kennedy, di una morte vista attraverso gli occhi Cecil Gaines, maggiordomo alla Casa Bianca, a cui Forrest Whitaker donò dignità ma anche fece trasparire l’affetto, la stima e la fiducia che i neri avevano verso un Presidente che era diverso, che ai loro occhi voleva cambiare le cose.

All the way di Robert Schenkkan e la serie TV 11.22.63

Ciò che venne dopo, ci è stato mostrato da All the Way di Robert Schenkkan, con Bryan Cranston chiamato ad interpretare Lindon Johnson, vice mal sopportato di Kennedy, che dovette guidare un paese diviso e scioccato.
Il film, appassionato e coerente, ci mostra il lascito di Kennedy, come Johnson se non altro nella politica interna, fu fedele agli ideali di JFK, lottò assieme a Martin Luther King per dare agli afroamericani giustizia e dignità. Film feroce nei confronti di Hoover e Russell Jr., All the Way è sicuramente importante anche per farci comprendere la dimensione della perdita che Kennedy rappresentò, ed assieme ciò che egli voleva per il suo paese, un paese in cui la divisione della ricchezza fosse più equa, il razzismo fosse messo da parte.

Che cosa sarebbe stato degli USA senza la morte di Kennedy? Bella domanda. A cui la miniserie 11.22.63 con protagonista James Franco, tratta da un romanzo di Stephen King, ha cercato in qualche modo di rispondere, pur se in modo fantasioso e parziale.
Ma questa, in realtà, è una terribile e triste domanda su cui non avremo mai risposta.