Torniamo a parlare di Berlinale con La condanna di Marco Bellocchio.
Nel 1991 il film con Vittorio Mezzogiorno vince l’Orso d’argento, entrando nell’olimpo delle pellicole nostrane capaci di portarsi a casa tale riconoscimento, e questo con assoluto merito. A questo traguardo si aggiunge anche il gran premio della giuria, sempre nella stessa edizione del Festival. Film intenso e coinvolgente, la trama che Bellocchio mette in piedi affronta temi di spessore come l’ingiustizia e la solitudine.

La storia si dispiega attorno a Corrado, un uomo che viene ingiustamente accusato dell’omicidio di sua moglie e condannato all’ergastolo. La sua vita viene sconvolta dall’accusa e dalla condanna, e lui si ritrova a vivere in una prigione interiore, lontano dalla sua famiglia e dagli affetti più cari.
Lo svolgimento dei fatti segue la sua lenta discesa nella follia, nel disperato tentativo di trovare una via d’uscita dalla sua insopportabile condizione. Il volto di Mezzogiorno è segnato dalla sofferenza e dalla disperazione, trasmettendo così un’emotività tale da coinvolgere lo spettatore fin dal primo istante.

Marco Bellocchio si mostra abile nel plasmare un’atmosfera claustrofobica e intensa, mettendo in risalto la solitudine e l’isolamento del protagonista.
Con una fotografia scura e malinconica che contribuisce a creare un’atmosfera tetra e opprimente, il senso di disperazione del personaggio si fa ancora più roboante, impossibile da ignorare.

Uno degli aspetti più interessanti del film è indubbiamente l’attenzione che viene dedicata alla psicologia dei personaggi.
Bellocchio esplora con minuzia di particolari i pensieri e le emozioni di Corrado, mostrandone la lenta discesa nella follia e la sua lotta per mantenere la lucidità. La sua solitudine e la sua disperazione sono palpabili e concreti, tirando il pubblico a sé grazie ad un forte sentimento d’empatia.

Film carico di significati e di valore intrinseco, La condanna si destreggia in tematiche scottanti con abilità, emozionando profondamente grazie ad una narrazione ben curata. Il regista piacentino propone un’opera in cui vi è un’analisi interiore condotta sul filo della psicologia più severa ed indecifrabile.

Un’ottima squadra d’attori dà manforte a Mezzogiorno, qui appunto in un ruolo dal fascino atipico, di sicuro non semplice da interpretare. Indicato indubbiamente a chi cerca un’esperienza cinematografica intensa e appassionante, capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano.