Dopo cinque anni di lavorazione La Sirenetta di Rob Marshall, il nuovissimo e chiacchieratissimo live action del cult animato Disney datato 1989, arriva nelle sale italiane dal 24 maggio.

Remake del musical animato Disney, tratto dalla storia di Hans Christian Andersen, La Sirenetta di Rob Marshall s’inserisce nel mare magnum di live action che sembrano ormai andare di gran moda, alcuni ben riusciti altri decisamente meno, ma qui c’è qualcosa in più.

Con la sceneggiatura di David Magee, le musiche originali di Alan Menken e l’entrata in campo di Lin-Manuel Miranda, la pellicola si ripromette di raccontare la stessa conosciutissima storia, ma si riserva il diritto di aprire qualche porta in più sui personaggi.

Più emozione e più pathos per una storia classica che sembra attingere a piene mani dal senso del meno conosciuto testo di Andersen e non solo dal musical animato anni ’90 che tutti ben ricordiamo.

Iniziamo col dire che gettarsi in un live action è sempre un’impresa difficile o perché il risultato è troppo simile all’originale o perché non lo è affatto o, ancora, perché l’idealizzazione dell’infanzia si va a scontrare con la realtà delle cose o più semplicemente perché il pubblico si chiede: ne vale davvero la pena?

In questo caso sì, per altri live action forse è meglio non rispondere. Dunque, Rob Marshall ci prova e consegna al pubblico la sua versione de La Sirenetta, in barba a tutte le critiche e ai dissensi, perché dopo Nine, Chicago, Memorie di una Geisha, Into the Woods e Il ritorno di Mary Poppins, è pronto a misurarsi con un classico Disney, ma soprattutto con gli accaniti fan della casa di produzione.

La trama de La Sirenetta

La storia è quella che conosciamo tutti, fedelissima all’originale, nessuno guizzo o stravolgimento e con una trama lineare da potersi quasi sovrapporre perfettamente all’animazione di partenza.

La Sirenetta è sempre Ariel, la minore delle figlie del Re Tritone, qui interpretato da un imbiancato Javier Bardem, che insieme a tutte le creature marine popola lo sconfinato e profondo Oceano. Intorno ad Ariel, portata magnificamente sullo schermo dalla cantante e attrice Halle Bailey, orbitano i tre personaggi ormai divenuti celebri: Sebastian, il granchio che nel film di Marshall acquista altre due zampe per essere ancora più vero, e nella versione italiana è doppiato da un insospettabile Mahmood che con la sua versione di In fondo al mar riesce a convincere simpaticamente; il fedele pesciolino Flounder, anche lui reso più realistico, anche perché il suo nome in italiano significa proprio platessa, e questo è quanto; e infine Scuttle, il buffo gabbiano “esperto” della terraferma che combina un guaio dopo l’altro.

Il trio, oltre a costituire l’intera linea comica del film, qui è così ben caratterizzato da riuscire, a volte, a rubare la scena addirittura ad Ariel, se solo la Bayle non fosse così brava da riprendersi lo schermo ad ogni inquadratura.

Quindi, la storia è sempre lei, fatta eccezione per l’introduzione di un nuovo personaggio, quello della Regina Selina, madre del Principe Eric, interpretata da Noma Dumezweni, creata appositamente per dare spessore all’intera storia e soprattutto un po’ di giustizia al personaggio del principe, che qui ritroviamo col volto di John Hauer-King, molto più introspettivo e carico di significato rispetto all’originale.

Ma una sirena non ha lacrime e perciò soffre molto di più

E’ con questa frase di Andersen che si apre il film di Marshall, messa quasi a sottolineare quello che è il senso vero e intimo del film.
Il fulcro della storia di Andersen è infatti chiarissimo: La Sirenetta fa parte di un mondo che non sente suo, un mondo che la vorrebbe diversa da come è realmente, meno curiosa, meno avventurosa, meno ribelle insomma…meno sé stessa e più come gli altri.

Da qui prende il largo tutta la narrazione, da un senso di non appartenenza che si tramuta in un continuo desiderare altro, e per chi abita il mare l’altro è la terraferma, gli umani, quel mondo che visto da sotto sembra essere bellissimo, forse solo perché diverso.

La Sirenetta desidera le gambe per entrare a far parte di un mondo che l’affascina, la seduce, la incuriosisce e in cui trova l’amore di un ragazzo che sembra vivere la sua stessa situazione, ma sopra di lei.
E’ qui che Marshall calca la mano, nel modo di vivere la diversità, nel non sentirsi compresi da chi è simile a noi e nel trovare conforto in chi è apparentemente quanto di più lontano da noi si possa pensare.

La storia per i più piccoli, raccontata dalla Disney, qui torna un pochino indietro al testo originale, nascondendo sotto ai colori sgargianti, alle creature marine, alle canzoni e ai balli sott’acqua, che mescolano live action e CGI, un messaggio preciso: spesso per entrare a far parte del mondo ci viene chiesto di perdere la nostra voce. Così fa Ursula, la famosissima villain, qui interpretata da una meravigliosa Melissa McCarthy, con Ariel, privandola del suo canto da sirena e lasciandola muta sulla terraferma con le sue nuove gambe.

E c’è da dire che l’intento della nuova versione de La Sirenetta si percepisce tutto, partendo dall’inclusività del cast, con a capo Halle Bayle, che in molti volevano più chiara e l’hanno urlato a gran voce, fino ad arrivare all’estrema caratterizzazione dei personaggi, in un mondo musicato che nel buio del fondale marino, ma anche alla luce della terraferma, nasconde l’inadeguatezza che ciascuno di noi ha provato, almeno una volta nella vita.

La Sirenetta di Rob Marshall: una prova superata

Non era facile emozionare, non lo era affatto, perché spesso i live action gettano sullo schermo un carrozzone sgangherato di personaggi e musiche di cui, sinceramente, si poteva fare a meno; non è il caso de La Sirenetta, però, che nonostante le “preoccupazioni” per la trasposizione filmica di pesci e granchi, da parte dei fan più accaniti che sembrano legati ai vecchi disegni con un doppio nodo, riesce a portare in sala un classico che ricorda il vecchio ma lo proietta verso il nuovo.

Le difficoltà erano fin troppe per la produzione: l’Oceano con tutte le sue difficoltà di resa sullo schermo, le ondeggianti sirene con le loro lunghe code, gli espertissimi del mondo sottomarino che calcoleranno ogni singolo movimento delle pinne, che già diciamo non essere perfetto e, come se non bastasse, l’originale Disney, vincitore di ben due Oscar, con cui misurarsi.

La prova però sembra superata, soprattutto grazie all’incredibile protagonista, ma anche grazie alla fedele rappresentazione del fondale marino, bello o brutto che sia, con effetti speciali ben calibrati, non impeccabili certo, ma forse non era nemmeno questo il punto della pellicola.

Il merito del film è certamente uno su tutti: legittimare il sentirsi diversi in un mondo che ci vuole troppo spesso catalogare.