Oro e Piombo del regista Emiliano Ferrera è una produzione indipendente che colpisce per il ritmo narrativo, la complessità della trama e la convincente recitazione del cast.
Girata tra Lazio e Basilicata, la pellicola riprende l’intrigante vicenda della miniera fantasma di Jacob Waltz, noto come “l’Olandese”, una storia vera intrisa di mistero che colloca un ricchissimo giacimento aurifero in un punto mai identificato delle Superstition Mountains, in Arizona. 

I suoi proprietari, i messicani Peralta, furono sterminati dagli apache. Fu forse un sopravvissuto al massacro a rivelare la sua ubicazione a Waltz che da allora prese a recarsi di tanto in tanto in miniera per prelevare oro e poi tornare a Phoenix a vivere in tranquillità le sue giornate, assistito da Julia Thomas.
Poco prima di spirare, il 25 ottobre 1891, l’Olandese rivelò l’esatta ubicazione del giacimento aurifero alla donna che l’accudiva e che quindi provò a trovare la miniera. Le sue ricerche non diedero alcun esito. Julia Thomas tornò a Phoenix e si mise a vendere mappe con informazioni sbagliate pur di far soldi e compensare le perdite subite con le spedizioni, senza sapere che, ironia della sorte, durante le sue ricerche aveva passeggiato effettivamente sui ricchi depositi d’oro di Goldfield e di Mammoth Mine, scoperti di lì a poco, tra il 1892 ed il 1893.
Da allora i misteri si sono infittiti con indizi, invenzioni, presunte scoperte, smentite e depistaggi. Chiaramente se la miniera esista o meno non si sa, ma ancora oggi, i cacciatori di tesori continuano a setacciare le montagne alla sua ricerca, ispezionando il vasto deserto montano, lungo sentieri che sono diventati nel frattempo veri e propri itinerari turistici. La storia è davvero affascinante e non poteva non destare l’attenzione dei cineasti.


Già Glenn Ford aveva interpretato Waltz (accanto a Ida Lupino nei panni di una Julia Thomas, astuta e arrivista) in La sete dell’oro, ultimo film diretto da S. Sylvan Simon, nel 1949. La chiave di quel western era data dall’ambientazione, esattamente le Superstition Mountains, ma anche dalla fedele ricostruzione storica e da un salto temporale nel Novecento, culminante in una straordinaria scazzottata, che vedeva protagonisti un vice-sceriffo privo di scrupoli e un giovane Barry Storm, pseudonimo che usava John G. Clymenson, l’autore del libro L’oro del dio del tuono, opera che raccontò al grande pubblico il mistero della miniera nel 1945 e solleticò l’interesse della Columbia Pictures Corporation. 

Oro e Piombo propone un’avventura completamente diversa, strutturata lungo le coordinate del western all’italiana, in un grande omaggio a Sergio Leone. Diversi sono anche i tempi storici perché Waltz (impersonato da Gabriel Ciarelli) è in giro ad esplorare l’area, ma ancora non è in possesso della miniera.
La pellicola è dotata di un coinvolgente senso di movimento, che trae a piene mani dal racconto storico, ma carica la vicenda del bagaglio emotivo e delle personalità dei suoi protagonisti. Tutto converge nel tessere una trama intricata che rivela anche una sceneggiatura solida, in grado di conferire profondità ai personaggi, sfuggendo al pericolo di un tratteggio sommario e piatto, nonostante l’incalzare di una rapida narrazione.

Ci troviamo in Arizona nel 1881, tra desolate montagne dorate, sormontate da un sole asfissiante. Claire Peralta (interpretata da Yassmin Pucci), in possesso di una misteriosa mappa, si circonda di un piccolo gruppo di aiutanti e guide con l’intento di percorrere le mulattiere di Painted Rock e scovare il ricco giacimento aurifero del defunto padre. C’è la minaccia degli apache che incombe silenziosa, ma anche quella di disonesti egoismi che non tardano a generare problemi nel gruppo e colpi di scena. Gli avvincenti motivi di una colonna sonora che viaggia tra rock, Messico e le nostalgiche arie di Morricone fanno da sottofondo ad un infittirsi di intrecci, fughe e inseguimenti, avvicendamenti e cambi di tempo che introducono la figura messianica di un “uomo senza nome”, un pistolero misterioso evocato dalle speranze del giovane Charlie Hanks (Tiziano Carnevale).
Gli eventi culminano in una sparatoria rocambolesca e anarchica, che mette tutti contro tutti, nell’ambito della quale Claire rivela una diversa identità, un passato nascosto, una sete di vendetta che si spegne solo con un colpo di pistola.
Come lei tutte le figure femminili del film sono lontane dal banale e tedioso femminismo eppure risultano piene di umanità, amano, aiutano, combattono e ammazzano. Quelle maschili sono abbruttite dal vizio, canaglie avvezze al gioco, all’insulto, alla violenza, coi volti corrosi dall’alcol o scalfiti dalla volontà di sopraffazione. Fa da contraltare la purezza adolescenziale di Charlie che continua a credere all’arrivo dell’uomo senza nome… che alla fine arriva sul serio. Enigmatico, indecifrabile, ma al contempo risoluto, il pistolero è un simbolo iconico dello spaghetti western ed Emiliano Ferrera lo usa con intelligenza, senza sciuparne la forza.

E’ incredibile il risultato ottenuto con un budget ridotto. Sorprendono, infatti, i dettagli dei costumi e delle armi, la forza della colonna sonora, la ricercatezza negli allestimenti scenici, il fascino selvaggio che assumono ambientazioni naturalistiche nostrane. Le inquadrature rimandano alla scuola leoniana, gli attori mostrano grande maturità artistica. Menzione di merito a Yassmin Pucci, che riesce a dare alle scene una grande tensione emotiva e fa trasudare il singolare tormento del suo personaggio anche nelle situazioni più animate, e a Tiziano Carnevale, per l’alta capacità espressiva che gli consente di introdurre qui e lì sfumature comiche, spesso col solo affidarsi alla mimica facciale. Interessante il prete pistolero (Claudio Gregori), altro rimando a Clint Eastwood, distinta la prova interpretativa di Piero Olivieri e Sebastiano Vento, Giulio Dicorato, Renny Zapato e Alessandro Ostili. 

La valutazione complessiva non può che essere positiva, ma forse non tutto finisce qui, c’è da crederci, forse questo è solo l’inizio, un radioso inizio, per Ferrera e il suo giro di attori. Noi ce lo auguriamo, il western italiano ha gli interpreti giusti per continuare a vivere. 

 

Angelo D’Ambra per Cabiria Magazine