Quanti spettatori avranno provato un sottile piacere nell’assistere alle imprese del cecchino più famoso d’America raccontate da Clint Eastwood nel suo American Sniper? Senza dubbio tanti, anche se restii a confessarlo in seguito a quella logica del “piacere colpevole” che vuole che si nasconda agli altri il personale godimento procurato da film di dubbia moralità eppur capaci di suscitare un coinvolgimento emotivo sospetto. Nel caso della storia del tiratore scelto Chris Kylee in azione contro i nemici iracheni l’imbarazzo degli ammiratori rivela la paura di passare per militaristi ad oltranza (con la copertura di un generico patriottismo che tanti disastri ha già provocato) ma nello stesso tempo nasconde un’etica da pistoleri che peraltro in molti film lo stesso Eastwood ha manifestato in tanti western o storie di gangster nella veste del giustiziere dalla mira infallibile alla ispettore Callaghan. Da come reagiamo dinanzi alla visione di American Sniper possiamo far luce sulla metà oscura che si nasconde in ognuno di noi, quella metà che oscilla tra il bene e il male, tra la pulsione vitale e quella mortale normalmente regolata da un equilibrio assai precario.
Il guilty pleasure suscitato da un film, di fatto retorico, come American Sniper risulta molto più preoccupante di quello provocato da tanti altri filmacci di serie B del genere horror o erotico, film che passano in rassegna un vasto campionario di parafilie, dal sadomasochismo al feticismo, e che noi in pubblico deploriamo ma in segreto condividiamo tanto più quanto più abbiamo problemi con il nostro inconscio (chi non ha mai visto Cannibal Holocaust e chi non vorrebbe vedere l’introvabile Marika degli inferni?). Ma almeno opere del genere hanno un loro effetto catartico, a differenza di altre che restano ambigue nell’assunto con la scusa dell’impegno civile, cosa che accade nel film di Eastwood. Piuttosto che compiacersi per le centinaia di vittime nemiche freddate in guerra dall’ ”eroe” Kylee, sarebbe opportuno ricordare le parole che Chaplin fa dire al noto pluriomicida in Monsieur Verdoux mentre l’uomo viene condotto al patibolo: “Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo. Il numero legalizza”. Allora, se lo Jeckill che è in noi vuole proprio uccidere, che uccida in maniera virtuale i mostri partoriti dalla fantasia grazie all’identificazione regressiva ma liberatoria con i tanti supereroi del genere fantastico, a patto che non lo faccia legittimato da una divisa che ne connoti l’appartenenza a questo o a quell’ordine militarizzato (resta il fatto che,in pace e in guerra, di fronte a ordini ingiusti i franchi tiratori agiscono meglio di quelli scelti in servizio permanente effettivo).