Dopo l’acclamato Sulla Mia Pelle, vincitore di quattro David di Donatello e un Nastro d’Argento, Alessio Cremonini torna a farci riflettere con Profeti un film che utilizza la guerra come punto da cui partire per contestualizzare la condizione femminile e la prigionia in Siria.

Scritto dallo stesso regista insieme a Monica Zapelli e Susan Dabbous, Profeti è prodotto da Cinemaundici, Lucky Red e Rai Cinema, in collaborazione con Sky Cinema e uscirà nelle sale dal 26 gennaio.

Ambientato nel 2015 in Siria del nord, durante il conflitto dello Stato Islamico, Profeti racconta il rapimento e la prigionia di Sara (Jasmine Trinca), una giornalista italiana iniviata a documentare la guerra. Durante uno spostamento in auto la donna e i membri della sua troupe vengono rapiti e imprigionati dall’Isis. Dopo cinque giorni passati in una prigione di fortuna, Sara viene trasferita in un campo di addestramento dello Stato Islamico e data in custodia a Nur (Isabella Nefar), moglie di un miliziano.
La casa in cui le due donne sono rinchiuse è fatiscente e ha le finestre bloccate, perché a due donne non è concesso sapere cosa stia succedendo all’esterno.

Profeti punta ad una narrazione per sottrazione in cui viene gradualmente espresso un effetto claustrofobico. Le informazioni relative alla protagonista sono poche, e della sua detentrice ci vengono fornite poche notizie, poiché ciò che conta è il presente in cui loro si trovano.
Nonostante non esistano vie di fuga, Sara trova un’apertura nel muro, nascosta dietro un mobile, che conduce il suo sguardo all’esterno. Un’osservazione diretta verso un orrore reale da cui potrebbe non uscire.

Lo spazio chiuso diventa una cornice in cui le due donne entrano in diretto confronto esplicando le loro diversità e i loro conflitti ideologici.
Sara e Nur esprimono le loro differenze attraverso dialoghi essenziali e in molti momenti il loro divario ideologico-religioso è mostrato da lunghi silenzi, che accrescono tensione psicologica nei confronti dello spettatore.

In Profeti la prigionia rappresenta quella scintilla narrativa da cui far partire il vero tema della storia. Il film non si focalizza sulla guerra, né sull’Isis, né tantomento sulla conseguente distruzione. Profeti si basa su un concetto di annullamento della protagonista in quanto donna.

La coperta, adoperata per coprire il volto di Sara fatta prigioniera, diventa strumento di oppressione e sottomissione, come espresso dallo stesso Cremonini che durante la conferenza stampa ha detto:

Credo che la coperta faccia parte dell’umano meccanismo di dominio dell’altro, di annullare l’altro. È un film sull’assenza e su Dio, che è un grande assente.

Profeti esplica senza fronzoli come nella totale diversità di Sara e Nur sia comunque radicata la difficoltà di essere donne, di ambire a dei diritti fondamentali. Mentre la prima mantiene saldamente le sue convinzioni, la seconda tenta continuamente di far vacillare la prigioniera per farle abbracciare l’ideologia del califfato.

In Profeti il senso di assenza si percepisce bene fin dall’inizio del film e le interpretazioni di Jasmine Trinca e Isabella Nefar sono perfettamente allineate al contesto e alla drammaticità che aleggia continuamente sul destino delle protagoniste.