Con il termine torture porn si designa un sottogenere del cinema horror che rappresenta scene di tortura eseguite in maniera gratuita, mostrate con ricchezza di dettagli e animate da un esplicito spirito sadico. La definizione è stata coniata dal critico americano David Edelstein a proposito del film Hostel girato da Eli Roth nel 2005, ed è applicabile anche ad altre opere che nel corso degli anni 2000 hanno reso popolare il sottogenere, tra le quali restano esemplari la serie di Saw-L’enigmista con i suoi sette seguiti, Wolf Creek, Turistas e La casa del diavolo. Di scene di tortura se ne sono viste anche in molti film precedenti, specie western o guerra, ma la novità è che il torture porn rappresenta le torture con precisione chirurgica in tempo reale e senza stacchi di montaggio, esattamente come fa il cinema porno con le scene di sesso spinto. Questa modalità risponde a tre pulsioni inconfessabili dello spettatore che sono il voyerismo, il sadismo e il guilty pleasure (il “piacere colpevole”, quello che nessuno osa dichiarare), tre fattori che connotano in senso perverso il filone e lo differenziano da quello dell’horror tradizionale il cui scopo è soltanto quello di suscitare paura.
Le implicazioni psicopatologiche presenti nel gorno ( altro termine impiegato per indicare il genere, contrazione di “gore” e “porno”) spiegano il successo avuto dal torture porn anche in Europa, soprattutto in Francia dove sono stati realizzati alcuni titoli memorabili come Alta tensione girato nel 2003 da Alexandre Aja e Frontiers diretto nel 2007 da Xavier Gens, e in Italia dove nel 2005 Lamberto Bava ha praticato il genere con The Torturer ( per non parlare della contiguità con il torture porn di un film autoriale come Antichrist firmato nel 2009 dal danese Lars Von Trier e come Funny games dell’austriaco Michael Haneke). Il precursore indiscusso del torture resta quel Cannibal Holocaust girato nel 1980 dall’italiano Ruggero Deodato nella forma di un mockumentary sulle torture inflitte ai bianchi da una tribù di indigeni dell’Amazzonia e che tanti imitatori avrebbe avuto in seguito. Il cinema classico ,da parte sua, non manca di efficaci casi di sottile tortura psicologica, il più celebre dei quali resta Che fine ha fatto Baby Jane? diretto nel 1962 da Robert Aldrich.
Forte di un repertorio a base di corpi segati, arti amputati , teste fracassate e operazioni chirurgiche senza anestesia, i titoli del torture porn svolgono comunque una funzione liberatoria e fungono da rivelatori delle pulsioni più malsane degli spettatori
( funzioni che invece non svolgono i torture-talk televisivi che dall’alba a notte fonda affliggono gli indifesi telespettatori con fiumi di pornografia concettuale vomitati dagli ospiti che fingono di dibattere ciarlieri e incompetenti in stressanti confronti sul nulla).