Lady Gaga non è l’unica Star a essere nata alla settantacinquesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, nel suo apprezzato debutto sul grande schermo con il remake di Bradley Cooper. Un’altra star del pop, questa volta fittizia, è giunta al Lido, ovvero Celeste la protagonista di Vox Lux interpretata da Natalie Portman.

Il film in concorso di Brady Corbet, qui al secondo lungometraggio dopo vari ruoli da attore, è una storia “del ventunesimo secolo” come recita il sottotitolo finale. Il film è una sorta di grande show nello show, messo in piedi in seguito a una terribile tragedia, ovvero un’omicidio di massa in una scuola da parte di uno studente. La protagonista, Celeste, si ritrova fra i pochi sopravvissuti nel 1999 in seguito a una strage messa in atto da un compagno di classe (“che ascoltava il tuo stesso tipo di musica” dirà la protagonista, perplessa, qualche anno dopo a un possibile fidanzato). Dopo aver sfiorato la morte, con un grave danno alla colonna vertebrale, Celeste rinasce, in seguito alla fisioterapia, come popstar teen la cui prima canzone è dedicata proprio alle vittime del massacro ed è scritta dalla sorella Ellie, che decide di sostenerla in tutto e per tutto dopo la tragedia.

La sua storia fa un salto di 18 anni fino al 2017, anno dell’attacco terroristico al concerto di Ariana Grande, così come nel 2001 ci fu l’attacco alle Torri Gemelle e nel 1999 la strage di Columbine. Il cerchio per Celeste si apre con una tragedia e si chiude con un evento altrettanto drammatico, in base al quale lei dovrà scegliere se esibirsi o meno.
Vox Lux, lungi dall’essere didascalico, si pone piuttosto come una metafora e una rappresentazione a tratti grottesca della società contemporanea e del substrato composto dalle baby star che devono pagarne lo scotto del loro successo improvviso e repentino. Capricci, conflitto interiore, droga e alcol, bisogno di essere amati, senso di colpa colorano l’animo pop di Celeste: tutti questi sentimenti sono ben rappresentati dalla fotografia di Lol Crawley, ipercolorata, e dalle canzoni originali di Sia, orecchiabili e allo stesso tempo nate da un dolore.

Il successo di Celeste è mondiale e la ragazza diviene simbolo della rinascita di un Paese (gli Stati Uniti) dopo una terribile tragedia, idolo di bambini e teenager. Ha una figlia molto giovane e sente il peso di questa “scelta” ma allo stesso tempo cerca di essere materna a tutti i costi. Ellie, ancora vicina a lei dopo quindici anni, è la testimonianza che tutto è cambiato ma tutto è sempre uguale; tanto che scrive ancora i testi per la sorella e si occupa della figlia (interpretata dalla stessa attrice che è Celeste da adolescente, una convincente Raffey Cassidy).

Vox Lux conferma la tendenza dei film di quest’anno a Venezia (La Favorita, Suspiria, The Ballad of Buster Scruggs) a strutturare la storia in capitoli, come una partitura musicale. Proprio come nel suo precedente film, L’infanzia di un capo, Brady Corbet fa muovere il comparto storico a braccetto con la crescita e la perdita d’innocenza della protagonista travolta dai tragici eventi, così come l’intera nazione americana. Non si tratta però di una ricostruzione storica, ma piuttosto di un pretesto per parlare della società tutta. Non c’è nostalgia come spesso capita in prodotti di questo tipo ma piuttosto spunti di riflessione, anche se ad un certo punto Celeste ascolta nelle cuffie la sigla di Dawson’s Creek e allora un magone di malinconia stringe la gola dello spettatore.

Chi splende davvero in questo film però è Natalie Portman, fin dalla prima inquadratura presentata dal regista indugiando molto sui suoi occhi, spesso truccati più del dovuto per nascondere la persona che si trova al di sotto, e cullata dalla voce narrante di Willem Dafoe – in questi giorni al Festival anche con At Eternity’s Gate – per impostare da subito la dimensione della fiaba raccontata. Una fiaba nera. E’ nata una (pop)star e non ha intenzione di andarsene così facilmente.