La luce, mi permette di esprimere, attraverso un vocabolario o un’articolazione quella che è la grammatica visiva. Il colore è un ulteriore approfondimento, è una singolarità della luce: a secondo della propria natura e della propria vibrazione sul piano scientifico, attraverso la reazione del corpo umano, diventa una vera e propria emozione […]Io mi sento uno scrittore. C’è chi scrive con le note, chi con le parole e chi, come me, con la luce. Ho scelto questa direzione probabilmente perché mio padre, che lavorava come proiezionista di pellicole, sognava di far parte di quelle immagini che proiettava. Lui ha spinto il suo sogno su di me e io, in modo del tutto inconscio, ho iniziato questo cammino in seno alla parola magica \’fotografia\’. Prima, mi sono appassionato al lato tecnologico della luce, poi ho scoperto che questa tecnologia era in secondo piano rispetto alla possibilità di raccontare. Quando noi guardiamo un film riceviamo dallo schermo un’energia che tocca non solo i nostri occhi, ma anche tutto il corpo.

Intervista a Vittorio Storaro, 2001- Valentina Bisti per “Film.it”

Inaugurando la rubrica sulla fotografia cinematografica, noi di Cabiria Magazine non potevamo che scegliere di partire dal maestro della luce, il Caravaggio del cinema: Vittorio Storaro.  
In oltre 50 anni di carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui tre premi Oscar (per Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore) e David di Donatello,  premi BAFTA,  premi Goya. Inoltre, ha ottenuto anche 4 lauree honoris causa dall’Università di Łódź, dalle Accademie di Belle Arti di Macerata e Brera e dalla facoltà di sociologia dell’Università di Urbino. Ha lavorato con registi del calibro di Bertolucci, Coppola, Allen, Argento, Saura, Beatty e Ronconi, spaziando tra cinema, televisione e teatro , creando immagini uniche e di forte impatto visivo che caratterizzano il suo stile cinematografico.

Vittorio Storaro racconta il film attraverso l’uso emozionale di luci, ombre, penombre e colori. Lo spiega molto bene nel suo saggio Scrivere con la luce in cui emerge la sua filosofia sull’illuminazione che non è altro che un dialogo di contrasti profondi.
La luce è l’energia; l’oscurità la materia. Non ama essere definito “direttore della fotografia”, perché si considera un autore a tutti gli effetti. E’ solito riferirsi alla propria arte, infatti, chiamandola foto-grafia, appunto.

Uno dei film che meglio rappresentano la foto-grafia di Storaro è Dick Tracy, diretto e interpretato da Warren Beatty nel 1990, liberamente ispirato al fumetto omonimo di Chester Gould,  che valse al Caravaggio del cinema una nomination agli Oscar.  

Al centro della storia ambientata negli anni trenta, c’è il detective Dick Tracy (Beatty)  che combatte contro il super criminale Big Boy (Al Pacino) facendo leva sulla sua pupa mozzafiato Mahoney (Madonna). La pellicola vanta un cast stellare, tra cui Paul Sorvino, James Caan, Dustin Hoffman, Kathy Bates e Dick Van Dyke e ha ottenuto  3 candidature a Golden Globes, e ben 7 candidature agli Oscar, vincendo tre statuette (miglior scenografia, trucco e canzone).

Dick Tracy  è senza ombra di dubbio unico nel suo genere e, forse, il cinefumetto più curato di sempre. Probabilmente perché è una grande dichiarazione d’amore del regista e interprete Warren Beatty al detective di Chester Gould.

Nell’estetica e nello stile Dick Tracy è un adattamento meticoloso e minuzioso del fumetto. Curato nei minimi dettagli proprio da Vittorio Storaro che, proprio per rendere la trasposizione sul grande schermo più simile possibile alle strisce di Gould, decise di usare solo colori  primari saturi e senza sfumature proprio per dare l’effetto di trovarsi dentro un cartone animato.

Tutto nella pellicola è realizzato senza l’aiuto della CGI e gli effetti sono frutto di tanto lavoro e ingegno. Anche la scenografia del premio Oscar Richard Sylbert e i costumi della nostra bravissima Milena Canonero  (quattro premi Oscar anche per lei) hanno seguito lo schema dei colori dell’autore della fotografia e, infatti, guardando il film sembra proprio di sfogliare il giornalino, restandone fedele in tutto. Dalla ricostruzione dei personaggi a quella delle ambientazioni. Quasi tutte le riprese in esterni sono state filmate sullo stesso set, che fu poi sistematicamente modificato attraverso il blue screen. Questo set ricorrente non è stato creato appositamente per il film: è lo stesso utilizzato per la famosa scena della rapina in Ispettore Callaghan: il caso “Scorpio” è tuo (1971).

I giochi di luce ed ombra di Storaro e il trucco adeguato, hanno trasformato gli attori in veri e propri personaggi dei fumetti. I villain di Dick Tracy nei giornalino erano caratterizzati da volti sfregiati e deformi. Beatty volle a tutti i costi che questa particolarità ci fosse anche nel film e così gli attori vennero sottoposti a ore interminabili di trucco. Il risultato? Semplicemente pazzesco! Il make up è fedelissimo alle strips, fatta eccezione per il personaggio di Big Boy Caprice,  completamente reinventato e progettato dal suo interprete: lo stesso Al Pacino. Il suo truccatore, John Caglione Junior, riprodusse alla perfezione l’idea dell’attore. Non a caso, da allora, Caglione è diventato il truccatore personale di Al Pacino.

Al Pacino in DICK TRACY

Per il trentennale del film la Rosco, un’azienda leader a livello mondiale nella produzioni di soluzioni creative per lo spettacolo, ha raccontato degli aneddoti sul lavoro di Storaro in Dick Tracy.
L’autore della fotografia non riusciva a trovare nessuna gelatina (ovvero dei filtri che si applicano ai fari teatrali o cinematografici per modificare le caratteristiche della luce proiettata) nei colori primari adatta alla trasposizione della sua idea di toni della pellicola. Era costretto a raddoppiare o a combinare più filtri insieme. Per esempio, per creare un giallo con la giusta saturazione, doveva impilare tre strati di gialli esistenti.

Proprio per mettere in atto la sua idea d’illuminazione del lungometraggio di Beatty, il premio Oscar insieme a Stan Miller e Jim Meyer di Rosco, hanno creato appositamente una palette di filtri colorati che si chiamano, per l’appunto, The Storaro Selection. Sono delle gelatine realizzate per ricreare le atmosfere del fumetto di Dick Tracy che da quel momento in poi sono state inserite nel catalogo dell’azienda e utilizzate da altri direttori della fotografia che vogliono stupire con colori più audaci.

Il fumetto era un arazzo di colori primari, spesso caratterizzato da ampie pennellate di tonalità audaci sullo sfondo. La sfida per i realizzatori era come integrare quei colori nel film. Storaro fece delle ricerche approfondite prima che la produzione del lungometraggio iniziasse. Notò la forte influenza della pittura espressionista nelle strisce di Gould. Pittori come Conrad Felixmuller, George Gratz e soprattutto da Otto Dix.  
Storaro condivise la sua ricerca con il regista e decisero che la trasposizione del fumetto doveva assolutamente rispettare quella visione pittorica.

Ogni colore ha un’energia, un significato specifico. Una volta che conosci le diverse energie dei colori, puoi usarle per far avanzare la storia del regista. Se conosci il concetto e il significato della luce/colore, puoi preparare la scena nel modo che ritieni più appropriato e spiegare perché hai fatto le scelte che hai fatto.

Vittorio Storaro

Seguendo la sua arte e il suo credo, Storaro ha creato uno schema generale dei colori del film assegnando a ogni personaggio del film una tonalità. E’ molto interessante guardare (o riguardare) l’opera di Warren Beatty conoscendo il seguente schema progettato dal maestro della luce.

  • Rosso, essendo il primo colore nello spettro RGB, rappresenta il bambino.
  • L’arancione, come il colore della maternità,  è usato quando Tess Trueheart  è sullo schermo.
  • Il giallo è il colore del sole e l’ illuminazione che “rivela dall’oscurità”, rendendola la scelta ovvia per Dick Tracy stesso.
  • Il verde fungeva da colore della conoscenza e non solo rappresentato D.A. Fletcher, ma fa anche un’apparizione quando i personaggi fanno scoperte durante il film.
  • Le tonalità del Blu e dell’indaco vengono usate per rappresentare i gangster e i cattivi, tra cui Big Boy Caprice, Flat Top e chiunque abbia piani nefasti.
  • Viola – il colore più scuro – rappresenta l’omicidio, il crimine più oscuro. Ma anche la passione.

Tenendo a mente questa chiave di lettura del film, si può anche notare come Vittorio Storaro abbia rivelato ben prima del finale, un mistero della storia, ovvero l’identità di The Blank. Insomma, l’autore della fotografia spoilera e stuzzica la mente dello spettatore attraverso l’uso dei colori.

Dick Tracy venne apprezzato da critica e pubblico. Anche da chi ci aveva lavorato (Al Pacino considera il set del film  una delle esperienze più divertenti della sua carriera). Al botteghino incassò più del triplo del suo budget, un vero successo per l’epoca. Nonostante questo, però,  questo cinefumetto viene spesso dimenticato. Ingiustamente. Essendo prodotto dalla Disney, ci auguriamo che presto venga inserito nel catalogo Disney+ , rendendolo fruibile anche agli spettatori più giovani che magari ignorano l’esistenza di un capolavoro di genere di questo calibro.