Il regista Michele Soavi, si sa, ha sempre avuto una certa propensione per un cinema che si colloca a metà strada tra il fantasy e il cinema di genere. Un cinema che sta a rappresentare quasi una mosca bianca in Italia e che fa di gustosi effetti speciali il suo cavallo di battaglia. E anche se, recentemente, il regista ha fatto parecchio storcere il naso con La Befana vien di Notte (2018), nel 1994 ci ha regalato quello che è successivamente diventato un vero e proprio cult nazionale: Dellamorte Dellamore, tratto dall’omonimo romanzo di Tiziano Sclavi e con protagonista un convincente Rupert Everett (che, non dimentichiamolo, a suo tempo aveva ispirato lo stesso Sclavi per la creazione del leggendario personaggio di Dylan Dog).

Dellamorte Dellamore, dunque, ci racconta le vicende del guardiano di cimiteri Francesco Dellamorte (Everett, appunto), il quale vive nella piccola cittadina di Buffalora e ha come unico amico il custode Gnaghi (François Hadji-Lazaro), affetto da un ritardo mentale e che pronuncia solamente il suono “Gna”. Le vite dei due verranno completamente stravolte nel momento in cui in città si diffonderà una strana epidemia, a causa della quale i morti, dopo sette giorni dal loro decesso, si risveglieranno. A Dellamorte, dunque, il compito di ucciderli definitivamente rompendogli il cranio o sparandogli un colpo in testa. Le cose, tuttavia, prederanno una piega sempre più intricata nel momento in cui il nostro protagonista si innamorerà della giovane vedova di un defunto (Anna Falchi). Quale destino attenderà i due?

Dellamorte Dellamore, dunque, è a tutti gli effetti il film che non ci si aspetta. Un film in cui improvvisi colpi di scena fanno sì che gli eventi prendano una piega del tutto inaspettata, in cui raffinati effetti speciali (a opera di Sergio Stivaletti) non hanno nulla da invidiare a quanto realizzato Oltreoceano, in cui gustose scene sanguinolente e uno spiccato humour nero contribuiscono a conferire al tutto una propria, ben marcata personalità e in cui un finale totalmente emblematico (e, diciamocelo, a tratti decisamente “ostico”) è pronto a stravolgere totalmente ogni nostra iniziale certezza.

Siamo d’accordo: Dellamorte Dellamore non è del tutto un film perfetto.
Al contrario, di fianco a personaggi che avrebbero necessitato di un approfondimento maggiore, a determinate prove attoriali che lasciano parecchio a desiderare (impossibile non pensare, ahimé, proprio ad Anna Falchi, che qui interpreta ben tre personaggi diversi), ci troviamo di fronte anche a evidenti scelte condizionate da un budget limitato. Ma sta bene. D’altronde, si sa, di lavori del genere, dal chiaro respiro internazionale, se ne vedono complessivamente pochi nel nostro paese. Soprattutto da quando i grandi maestri dell’horror nazionale hanno smesso di fare scuola in tutto il mondo.

Eppure, nonostante tutto, bisogna riconoscere al presente Dellamorte Dellamore un indubbio coraggio, oltre a una forte, fortissima voglia di osare, di andare oltre gli schemi, che a sua volta dà vita a un riuscito mix tra horror e umorismo che, nell’insieme, grazie a un riuscito crescendo, non ci dà modo di distinguere cosa sia reale e cosa, invece, appartenga a “dimensioni ultraterrene”. Michele Soavi ha a suo modo lasciato il segno. Il suo Dellamorte Dellamore è diventato di diritto un intramontabile cult anni Novanta, che, oggi come ieri, continua ad affascinarci, a divertirci, a terrorizzarci.