A distanza di tre anni da Storia di un matrimonio, Noah Baumbach ritorna al Festival di Venezia aprendo questa 79esima edizione con Rumore Bianco (titolo originale White Noise).
Il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo del 1985 scritto da Don DeLillo ed è previsto nelle sale dal 1 settembre, mentre sarà disponibile su Netflix dal prossimo 30 novembre.

La continua incertezza nei confronti della morte è la costante del conflitto che coinvolge la famiglia Gladney. Jack (Adam Driver) è un professore universitario specializzato in studi hitleriani, che vive nel Midwest con la sua quarta moglie Babette (Greta Gerwig) e i quattro figli Denise (Raffey Cassidy), Arlo (Lars Eidinger), Elliot (André Benjamin) ed Heinrich (Sam Nivola). La quotidianità è tutt’altro che spensierata, alla paura della morte si affiancata una precarietà dell’esistenza che Babette cerca di estinguere attraverso l’uso del Dylar, un farmaco sperimentale ancora non presente sul mercato. Ad alimentare l’oscillazione emotiva dei protagonisti contribuisce un incidente chimico da cui scaturisce una nube tossica potenzialmente letale.

White Noise divide in tre parti una realtà costellata di malessere esistenziale in cui i dialoghi sono pieni e abbondanti esattamente come la società rappresentata. I lunghi botta e risposta, l’ironia e i battibecchi tra i protagonisti non fanno altro che saturare la condizione mentale di cui sono schiavi.

In White Noise i personaggi sono definiti, nel volto e ancor più nei gesti, dalle loro debolezze, dal loro scetticismo singhiozzante e dalla loro ansia della perdita. I protagonisti si esprimono in balìa delle proprie emozioni difficili da governare e le interpretazioni sono marcatamente autentiche: spicca Adam Driver interprete di Jack dotato di una capacità oratoria che si lega più al teatro che ad una cattedra universitaria.

Vi è una condizione psicologica che si identifica all’interno di una società estremamente consumistica e figlia di quel progresso fatto di corsie e supermarket standardizzati. Proprio il supermercato diventa la metafora postmoderna all’interno del quale inserire e concepire la vita, intesa come una meccanica successione di eventi in qualsiasi momento ripetibili.

La colonna sonora firmata da Danny Elfman incornicia ciò che accade enfatizzando in molti casi le ambientazioni tipiche della società americana ai tempi di Regan.
White Noise rappresenta uno scorcio in cui l’evento catastrofico riporta lo spettatore un po’ alla fantascienza fatta di “effetti anni Ottanta” (decennio in cui venne pubblicato il libro) con stazioni di servizio abbandonate in fretta e furia e una nube spaventosa che riporta quei colori tanto somiglianti alle ambientazioni in stile Hawkins (di Stranger Things, prodotto anch’esso da Netflix).

Baumbach dà vita ad un film che si pone a metà strada tra dark-comedy e disaster movie con una marcata connotazione psicologica dove riemergono i conflitti famigliari, che sono materia nota del regista newyorkese, questa volta scanditi dalla fissazione e dal bisogno di scoprire verità.
White Noise è godibile e si apprezza senza particolari sforzi, anche se una durata leggermente più breve avrebbe giovato al risultato finale.