Il pluripremiato regista Wim Wenders è in questi giorni al 76° Festival di Cannes con tre film: fuori concorso con Anselm, un documentario in 3D sul pittore e scultore tedesco Anselm Kiefer;  Perfect Days nella competizione ufficiale a Cannes Classics con Chambre 999 di cui è interprete.
Non sappiamo chi porterà a casa la Palma d’oro quest’anno, ma la presenza dell’artista del Nuovo Cinema Tedesco si fa sentire ed è, sicuramente, uno dei favoriti.

Nella sua carriera di quasi cinquant’anni, Wim Wenders ha saputo spaziare tra lungometraggi di finzione, documentari, videoclip e film televisivi.
La sua poetica e l’amore per la sperimentazione lo hanno spinto a creare delle opere che sono dei veri e propri viaggi, sia alla scoperta di territori e paesaggi sia all’interiorità dei personaggi.

Il cinema di Wim Wenders ci ha abituati a tempi dilatati, a immagini dal forte impatto visivo.
La sua passione per la fotografia e l’architettura emergono in ogni singola inquadratura delle sue pellicole.

Le sue storie mettono spesso in scena il tema dell’incomunicabilità, della fragilità umana e della malinconia, ma anche quello della scoperta, del viaggio tra spazi ampi e desolati o nell’inconscio.

Il regista tedesco è anche affascinato dalle storie di persone uniche che hanno fatto della loro vita una missione, come Pina Bausch, Salgado o Papa Francesco per citarne alcuni.

Ma se non abbiamo mai visto nessuna delle sue opere… quali sono i tre film da vedere per conoscere Wim Wenders?

1- Paris, Texas ( 1984)

Un posto per i sogni. Un posto per i crepacuore. Un luogo per raccogliere i pezzi.

frase di lancio del film

Vincitore della Palma d’oro come miglior film al Festival di Cannes 1984, Paris,Texas è un film intenso e struggente che mostra tutta la poetica di Wim Wenders sia a livello visivo che narrativo. La pellicola è stata inserita nella lista dei 100 migliori film del XX secolo, rilasciata dall’American Society of Cinematographers.

Il titolo del film richiama il nome di Paris, città del Texas e capoluogo della contea di Lamar.
Il protagonista della storia è Travis ( Harry Dean Stanton) un uomo che è scomparso per quattro anni dal passato tragico. 
Viene ritrovato in uno stato confusionale in un piccolo ospedale e i soccorritori contattano Walt (Dean Stockwell) , il fratello minore, per riportarlo a casa. Quando lo rivede, si rende conto che Travis è chiuso in un mutismo assoluto. Durante il viaggio di ritorno, però, ritrova finalmente la parola e gli racconta di aver comprato anni prima un lotto di terreno a Paris, Texas,  dove la madre gli rivelò d’esser stato concepito.

Quando arrivano a casa di Walt, Travis incontra suo figlio Hunter (Hunter Carson) che ha otto anni. Il bambino chiama mamma e papà i suoi zii, ma è conscio di chi sia il suo vero genitore.
Sua madre naturale, Jane,  è scomparsa la stessa notte del padre. Ma Travis è deciso a rimediare ai suoi sbagli e così, dopo  aver scoperto degli indizi su dove potrebbe risiedere la mamma di Hunter,  decide di portarlo con sé alla ricerca della donna. Arrivati a Houston i due s’appostano davanti alla banca, vedono Jane (Nastassja Kinski) e la seguono in macchina. Travis scopre che la moglie lavora in un peep show dove le donne si esibiscono in piccole cabine attrezzate con uno specchio semiriflettente, che impedisce loro di vedere i clienti dall’altra parte.

Travis va  a incontrarla senza farsi riconoscere. Poi torna nel locale per raccontarle una storia d’amore bella, ma complessa:  nonostante la differenza d’età, Travis e Jane erano innamorati, ma dopo qualche anno la vita coniugale divenne complicata trasformando l’uomo in un alcolista morbosamente geloso. Ci fu un incendio nella roulotte in cui vivevano e Travis dopo quella notte si risvegliò solo. Non c’erano tracce di moglie e figlio. Fu così che da quella mattina iniziò a vagabondare. Consapevole del dolore che ha arrecato ai suoi amati in passato, Travis vuole farsi perdonare facendo ricongiungere la madre e il figlio. Però, si rifiuta di rivedere Jane in carne e ossa. Perciò, gli dice che Hunter l’aspetta in una stanza d’albergo. Dopo questo gesto d’amore, riprende a vagare senza meta.

Paris, Texas è un road movie interiore scritto con l’attore Sam Shepard (che tornerà a collaborare con Wenders vent’anni dopo, sia in qualità di attore che di sceneggiatore, in Non bussare alla mia porta).
I due scrissero solo la prima parte della sceneggiatura, convinti che il seguito della storia sarebbe arrivato sul set durante le riprese. Scelta sicuramente coraggiosa, ma che ne ha guadagnato in intensità.  Il film è stato girato seguendo l’ordine cronologico dello script, tranne il filmato Super 8 che ritrae la famiglia anni prima della vicenda narrata. Fu lo stesso Wim Wenders a girarlo alla fine delle riprese.

Paris,Texas è un capolavoro di rara bellezza che tratta temi cari al regista: la malinconia, la solitudine, l’incapacità di esprimersi e di vivere appieno l’amore e la vita. Il film è pregno della poetica visiva del regista tedesco che sfrutta i meravigliosi e immensi spazi americani per raccontare l’animo dei suoi personaggi. Un altro merito di Wenders è quello di aver scelto degli attori di grande talento e perfetti per i ruoli, a partire dal protagonista Harry Dean Stanton, caratterista fuori classe che ci ha regalato una delle sue migliori performance.

2- Il cielo sopra Berlino (1987)

Il tempo guarirà tutto. Ma che succede se il tempo è la malattia?

Il cielo sopra Berlino è il film più noto e celebrato di Wim Wenders.
Vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes del 1987, il più famoso lungometraggio del regista tedesco è un viaggio in una Germania ferita e ancorata a un passato traumatico.

Le vite e i pensieri dei berlinesi  sono letti dagli angeli che vivono nel cielo sopra Berlino, una città ancora divisa dal muro.
Il film è fotografato in un incantevole bianco e nero che richiama il neorealismo e con delle inquadrature mozzafiato dall’alto che mostrano la città in tutta la sua affascinante decadenza. Wenders ci regala un capolavoro malinconico in cui realtà e finzione si fondono alla perfezione.

Il protagonista del racconto è l’angelo Damiel (Bruno Ganz) che ascolta i pensieri degli umani da millenni, ma che è stanco della sua immortalità. S’imbatte in Marion (Solveig Dommartin), un’acrobata circense e se ne innamora a prima vista.
L’incontro con il regista Peter Falk , un sorprendente ex-angelo e unico umano che si accorge della sua presenza , lo convince a rinunciare all’immortalità asessuata e a diventare un uomo. Potrà finalmente amare! Le prime esperienze sono il sangue e il dolore. Vede i colori, gusta i cibi degli uomini e assapora il caffè caldo. Poi, a un concerto di Nick Cave, Damiel rivede Marion, che finisce per ricambiare il suo amore.  
Prima che il circo chiuda definitivamente, la trapezista eseguirà il suo ultimo numero volteggiando proprio come un angelo.

Wim Wenders dedica il film agli ex angeli François, Jasujiro e Andrej, cioè ai registi Truffaut, Ozu e Tarkovskij che sono stati dei fari nella sua carriera.
Nonostante la sceneggiatura de Il cielo sopra Berlino sia piuttosto complessa, non risulta mai essere ridondante o pretenziosa. E’ un’opera unica e speciale, valorizzata sicuramente dalla fotografia di Henri Alekan che ha reso ancora più magica questa pellicola.
Wenders e il direttore della fotografia hanno usato il tecnicolor per le scene dal punto di vista umano e un bianco e nero virato seppia per quello angelico.

La scelta geniale è dettata da una semplice considerazione: essendo gli angeli degli essere limitati, sono in bianco e nero. Loro possono cogliere solo le cose più essenziali della vita, ma non possono agire, fare delle scelte… cambiare la realtà. Il passaggio al colore, infatti, avviene solo quando l’angelo Damiel diventa umano, cadendo dal cielo. Mentre è di raro impatto emotivo il primo passaggio dal bianco e nero al colore. Avviene all’improvviso con la comparsa di Marion che volteggia sul trapezio.
Del resto, sono proprio scelte come queste a rendere indimenticabili certi film. E, Il cielo sopra Berlino  è un elogio alla bellezza, alla magia e alla vita.

3- Pina (2011)

Danzate, danzate, altrimenti saremo perduti!

Pina Bausch

Pina è un film in 3D dedicato alla coreografa e ballerina Pina Bausch da parte dell’amico Wim Wenders.  
La pellicola ha ottenuto una candidatura ai Premi Oscar, una ai BAFTA e ha vinto un premio agli European Film Awards.

Il legame tra i due artisti nacque al Festival di Venezia dove la capofila del teatrodanza  presentò il suo Cafè Muller in occasione di una retrospettiva a lei dedicata. Wenders rimase così colpito dalla potenza espressiva del suo spettacolo che propose subito alla Bausch di realizzare un film che presentasse a livello cinematografico il suo lavoro.
Da quell’incontro, ne nacque un’amicizia lunga quarant’anni e un progetto di un film insieme che iniziò a concretizzarsi solo nel 2008. Questo perché per anni il regista non si sentiva ancora pronto a livello tecnico per portare sul grande schermo la forza e il dinamismo del teatrodanza.

E’ stato l’avvento del 3D a illuminare  Wenders per le riprese di Pina. Nei primi mesi del 2009, il regista e la sua casa di produzione Neue Road Movies, insieme a Pina Bausch e alla compagnia Tanztheater Wuppertal, sono entrati in fase di pre-produzione. Ma, purtroppo,  dopo un anno e mezzo di  lavoro e a due giorni dalle prove programmate per le riprese in 3D, Pina Bausch morì. Così, all’improvviso e inaspettatamente.   

Wenders interruppe il film. Senza Pina, per lui, non si poteva più andare avanti. Ma dopo un periodo di lutto, capì che quell’opera su di lei era ancora più necessaria. Del resto, tutto il testamento dello sguardo e della ricerca della grande danzatrice e coreografa, c’erano  (e ci sono ) ancora. Vivono nei gesti e nei corpi dei suoi danzatori.

Pina è il primo film d’autore in 3D che omaggia  una delle coreografe più innovative del XX secolo, esaltandone il genio poetico. Probabilmente, solo l’occhio e la tecnica di Wim Wenders potevano trasportare il talento della Bausch sul grande schermo.  E lo fa con grande passione e maestria. Con un mix tra cinema e documentario, con colori, suoni, musiche, ambientazioni, coi pensieri dei danzatori… tanta poesia e bellezza ti restano attaccati all’anima!

Il regista tedesco ha reso immortale il lavoro di Pina Bausch, facendolo conoscere anche a chi non sapeva nulla della sua esistenza. Del resto…bisogna danzare per non essere perduti!