Il Paolo Sorrentino talento cinematografico, visionario e premio Oscar lo conosciamo tutti, ma il regista non è estraneo neanche al piccolo schermo, che sia davanti o dietro la macchina da presa. Dal piccolo ma memorabile cameo in Boris, dove ricordava come “tutte le serie tv all’inizio sono diverse, poi arriva qualcuno che le scrive e diventano irrimediabilmente delle cagate”, alle serie tv ci è arrivato anche lui, ma diciamo che il risultato finale è ben diverso da Gli occhi del cuore

Le serie-tv di Paolo Sorrentino

Amato e odiato, visionario o criptico, il suo riconoscibilissimo e identitario marchio segue Sorrentino sia sul grande che sul piccolo schermo.
C’è da dire che le due serie tv, create e dirette dal regista, siano piuttosto dei lunghi film della durata di dieci ore abilmente tagliati per adattarsi alla visione seriale. Si guardano come al cinema, parlano come al teatro, ma stavolta sono su Sky, nonostante i primi due episodi, dei dieci complessivi, siano stati presentati alla Mostra del Cinema di Venezia.

Sorrentino, infatti, continua anche qui sulla sua linea cinematografica, portando davanti alla telecamera protagonisti cinici, potenti, anzi quasi onnipotenti e pronti a lanciare opinioni, tanto terribili quanto vere, a chiunque abbiano davanti. Un po’ come il suo Jep Gambardella sulla terrazza romana, ma stavolta siamo al Vaticano e a parlare è il Papa.

The Young Pope

Di religione e dell’oscillante condotta ecclesiastica al cinema se ne è parlato parecchio, ma Sorrentino ha decisamente portato il discorso su un altro livello.  

Il Papa è appena stato eletto: è giovane, bello, americano e tutto fa pensare che sia facilmente manovrabile.
Lo Young Pope di Sorrentino però si mostrerà presto arrogante, spietato, un dittatore mascherato dal fascino pulito di Jude Law, dotato di una bellezza che lui stesso, in un delirio di onnipotenza propria del suo Pio XIII, paragona a quella di Cristo. Ma il giovane Papa Lenny Belardo è anche orfano, abbandonato da dei genitori che cerca ancora ossessivamente in cielo e in terra.
È dubbioso, contraddittorio, rappresenta Dio ma neppure lui sembra crederci davvero.

Sorrentino non racconta di una crisi esistenziale come quella del tenero Papa di Nanni Moretti in Habemus Papam, qui la crisi rasenta, almeno inizialmente, la follia.
Papa Pio XIII è un mistero, è assenza e presenza, si nasconde e si mostra, è un santo e un diavolo.
Jude Law è perfetto nei panni del protagonista, iniziando con il volto corrucciato ai limiti dell’odioso, che si distende nel corso della narrazione fino ad arrivare al sorriso di un santo capace di miracoli, da amare e idolatrare.

Ma la vera rivelazione nella serie è Silvio Orlando, il segretario di Stato cardinale Voiello, colonna portante non solo della Chiesa, ma di ogni singolo episodio della serie; un personaggio meravigliosamente scritto e interpretato, che tiene alto lo humor e smorza l’altisonante atmosfera ecclesiastica con furbizia, calcolo, ricatti e con una passione smodata per il Napoli e per una statuetta.

The New Pope

La storia all’interno delle stanze del Vaticano riprende dove si era fermata, ma questa volta Sorrentino preme sull’acceleratore.

L’atmosfera si fa ancora più grottesca, umoristica, dissacrante e ritmata e arriva anche un doppio ruolo per Silvio Orlando, che prende il dominio dello schermo.
Pio XIII è in coma e, secondo le regole di Sorrentino, il mondo ha bisogno di un nuovo Papa. La scelta ricade, come al principio della prima serie, su un uomo che sia semplice da gestire, ma anche stavolta il conclave sbaglia.
Con il nome di Francesco II, il nuovo Papa timido e impacciato, tocca e comprende il suo potere, tanto da decidere di invertire la rotta, tagliare lo sfarzo dorato e votarsi all’estrema povertà: idea impossibile per la Chiesa. Inaspettatament (si fa per dire) il Papa muore e così, chiusa la breve parentesi del Pontefice ispirato a San Francesco, dopo Jude Law, chi meglio di John Malkovich poteva interpretare il New Pope.

Perciò Habemus Papam, di nuovo.
Sir John Brannox, con il nome di Papa Giovanni Paolo III, non senza farsi pregare, inizia il suo pontificato svelandosi, anche lui lentamente, per l’uomo che è. Dietro un atteggiamento un po’ da filosofo e un po’ da dandy si nasconde infatti un animo fragile e tormentato da un passato segnato dalla morte del fratello e da una famiglia che per questo l’ha allontanato.

Sorrentino qui alza la posta in gioco portando in scena molto più sesso, ironia, musica e addirittura un cameo di Marilyn Manson; al tutto si aggiunge poi la minaccia del califfato, nemico concreto che si schiera apertamente contro la Chiesa e la setta che venera Pio XIII, linee narrative che permettono al regista di rendere, molto meglio che nella serie precedente, l’idea continuativa propria della serialità.

In entrambe le serie la mano di Sorrentino si vede in ogni scena, la sua cura registica è impeccabile e maniacale, con una macchina da presa che si muove piano e indugia sugli infiniti dettagli creando una narrazione a tratti lenta, ma retta da dialoghi e personaggi perfetti. Le immagini, grazie alla fotografia di Luca Bigazzi, sono così forti che diventano surreali, ricalcando e quasi ridicolizzando l’artificiosità delle cerimonie ecclesiastiche, i formalismi e i macchinosi rituali.

Sorrentino in The Young Pope gioca con l’impossibile, con scenari quasi distopici e che forse mai potranno avverarsi, ma allo stesso tempo i suoi personaggi restano del tutto umani, verosimili, mettendo a nudo la realtà che si nasconde dietro le tonache degli uomini di Chiesa.

The New Pope ne è l’eccentrica evoluzione di The young pope, più consapevole e più ricca in fatto di tematiche, ma che comunque mantiene fermissimo il punto sull’omosessualità, rifiutata dalla Chiesa che chiude entrambi gli occhi sulla sessualità dei suoi stessi componenti.

Sorrentino stesso ha dichiarato di essere profondamente interessato all’universo del clero, per lui fonte di enorme fascino e quindi entrambe le sue serie-tv sono da intendere non in un’ottica provocatoria o critica, ma solo come frutto di una grande curiosità e onestà nel provare a raccontare questi esseri umani dall’interno e da molto, molto vicino.