Per il suo nuovo lungometraggio intitolato Arthur Rambo – Il blogger maledetto, il cineasta Laurent Cantet ritorna a un fatto di cronaca reale, come aveva precedentemente fatto con il caso di Jean-Claude Romand nel film A tempo pieno (2001). In effetti, qui il cineasta d’ispira liberamente al caso di Mehdi Meklat, giovane scrittore di periferia che conobbe una popolarità crescente negli anni 2010, prima che la pubblicazione di numerosi tweet sotto lo pseudonimo di “Marcelin Deschamps” sconvolgesse il suo destino nel 2017. Va detto che i tweet in questione erano razzisti, omofobi, antisemiti e misogini.
Coinvolto in un vero e proprio tumulto mediatico, il giovane è stato poi costretto a partire per vivere per un certo periodo della sua vita in Giappone, nel tentativo di fuggire dalle conseguenze dei tweet che avrebbe giustificato poi come semplice umorismo.

È quindi partendo da questa storia che Laurent Cantet giunge poi alla narrazione qui adattata, avendo premura di modificare nomi e altri elementi. Il regista riesce perfettamente a porre le basi del caso descrivendo qui la lenta discesa agli inferi di un giovane lupo solitario, desideroso di liberarsi dalle noie dell’ambiente che lo circonda tramite il talento nello scrivere.
Diventato il beniamino dei media e di Parigi, il personaggio interpretato da Rabah Nait Oufella sembra essere su una piccola nuvola mentre vive il sogno di una vita. Mostrando un sorriso costante, sintomo della sua soddisfazione personale, è un personaggio che può irritare con molta semplicità, con la sua ingenuità e la sua tendenza a credere indistintamente a tutti i suoi adulatori, pronti ad accorrere quando soldi e fama entrano in gioco.
Ben presto, il regista s’intromette nei tweet furiosi firmati da un certo “Arthur Rambo”. Da lì in poi, la stessa persona fino a quel momento idolatrata ed acclamata diventa una figura sgradita, perdendo così tutti i suoi contratti, assistendo all’allontanamento di amici e famiglia, confusi e sconcertati. Senza farsi giudice del personaggio principale, Laurent Cantet mostra soprattutto i pericoli dei social network e d’internet, dove l’oblio non è un’opzione percorribile. Viene anche analizzata la cancel culture, messa in luce per ciò che è realmente, ossia una caccia alle streghe.

Purtroppo, se il lungometraggio interessa durante la sua prima ora, si ha rapidamente la sensazione che Laurent Cantet non sappia bene dove andare a parare. Poiché non vuole giudicare il personaggio e si rifiuta di svelare il suo mistero, si costringe a girare in tondo fino ad un finale sfuggente, un po’ come il suo protagonista.
Uscendo da Arthur Rambo, lo spettatore ha quindi l’impressione di aver assistito a una descrizione attenta, ma superficiale, di un fenomeno sociale che meritava più impegno o assunzione di rischi. L’atteggiamento misurato e prudente del regista si rivela essere una scelta limitante, facendo di Arthur Rambo un’opera che manca di prospettiva, perdendo qualcosa per strada, nonostante un’interpretazione molto soddisfacente e coinvolgente dell’intero casting.