Un fantasma si aggira nelle nostre sale appena riaperte dopo la lunga chiusura. E’ il fantasma di quel grande cinema che nel passato ha nutrito il nostro immaginario con una serie di visioni che si sono sedimentate nel nostro inconscio non solo personale, ma anche collettivo.

Il titolo paradigmatico di questo cinema revenant è l’ultimo film di Woody Allen Rifkin’s Festival dove la vicenda tragicomica è un pretesto per riflettere sul cinema come sogno, ma anche sul sogno come cinema.
Il personaggio dell’anziano ex-docente di cinema in trasferta mondana presso la località spagnola sede di un famoso festival cinematografico, dove ha accompagnato la giovane moglie giornalista e dove sospetta che costei lo tradisca con un presuntuoso e fascinoso regista emergente, è un alter ego dello stesso Woody afflitto dalle stesse idiosincrasie, ma soprattutto come lui fedele alla memoria di un cinema del passato del quale parla con una psicoanalista e del quale sogna alcune sequenze memorabili rese in un bianco e nero d’epoca che ricalcano scene di Il settimo sigillo di Bergman (la partita a scacchi con la morte), Otto e mezzo di Fellini (l’incontro con i genitori morti), Citizen Kane di Welles (il ritrovamento dello slittino) ma anche brevi scene di Godard, Truffaut e di altri registi della nouvelle vague.

Onirismo e surrealismo connotano lo stile anche di Sulla infinitezza, l’ultimo film dello svedese Roy Andersson strutturato in una serie di tableaux vivants che rappresentano momenti di vita quotidiana resi con sguardo distaccato con punte di un diffuso umorismo gelido che rasenta la crudeltà (molto diverso da quello di marca ebraica visto nel film di Allen).

Questi fantasmi del cinema di altre stagioni non li vediamo soltanto in film amati dai cinefili  come quelli citati da Allen, ma anche in uno spettacolone annunciato nei prossimi mesi come Godzilla vs Kong, dove il lucertolone incattivito rappresentato per la prima volta nel lontano 1950 dal giapponese Ishiro Honda   torna per battersi con il gorilla Kong apparso a sua volta nel 1933 nel film eponimo di Schoedsack , due mostri antichi che hanno perso nei tanti successivi remake la originaria dimensione onirica presente nei film capostipiti, ma rimasta fissata nell’inconscio collettivo e che in parte l’hanno recuperata in questa ultima versione.

Ma anche altri film scomparsi  tornano in sala per rinnovare in noi l’incanto provato la prima volta, come è avvenuto nel caso di In the mood for love di  Wong Kar-wai che ha inaugurato la riapertura di molte sale. Dunque il nostro fantasma non frequenta più soltanto le piattaforme archeologiche del cinema di ieri, ma oggi si affaccia anche sul grande schermo a beneficio del grande pubblico nostalgico della visione collettiva da fruire nelle sale cinematografiche, quella visione per le quali il cinema era nato più di cento anni fa, quel cinema che il nostro Woody, citato prima, dice di amare molto ma “solo quando era un’arte” (e noi con lui speriamo che torni ad esserlo dopo essere stato per tanti anni quasi soltanto spettacolo).