Un piccolo miracolo è avvenuto sulla Croisette quando, in corsa per l’ambita Palma d’Oro al 76° Festival di Cannes, è stato per la prima volta proiettato in anteprima mondiale Fallen Leaves, l’ultima fatica dell’acclamato regista finlandese Aki Kaurismaki.
Già, perché, di fatto, attivo ormai da diversi decenni, il cineasta di Orimattila riesce ogni volta a sorprenderci, a emozionarci, a farci riflettere con le sue storie senza tempo e, al contempo, anche estremamente attuali.
Stesso discorso, dunque, vale per il presente Fallen Leaves, un film apparentemente semplice, apparentemente piccolo piccolo, ma in grado di colpirci come poche altre opere presenti a Cannes.

Questa, dunque, è la storia di due solitudini che si incontrano. Un uomo e una donna (i cui nomi raramente vengono menzionati durante la visione) vivono alla periferia di Helsinki e per sopravvivere fanno i lavori più faticosi, venendo spesso sfruttati e sottopagati dai loro stessi capi. Incontratisi per caso durante una serata di karaoke, i due inizieranno a frequentarsi, ma una serie di sfortunati eventi sembra mettersi costantemente tra loro e un’ideale, agognata felicità.
Fallen Leaves, dunque, è l’immagine nitida, viva e pulsante della periferia di una città, al contrario, fortemente industrializzata e cosmopolita. L’immagine di un mondo ancora mai contaminato dalle tecnologie (quando capita di dover usare un computer bisogna ancora recarsi in un internet point).
L’immagine di un mondo in cui i diritti dei lavoratori non vengono praticamente mai riconosciuti, costringendo gli stessi a non potersi permettere nemmeno una tazza di caffè. L’immagine di un mondo senza tempo, per una storia che potrebbe accadere oggi come potrebbe essere accaduta dieci, venti, trent’anni fa. Al contempo, però, a tale mondo se ne accosta un altro: il mondo contemporaneo, di cui abbiamo notizia soltanto attraverso le notizie ascoltate alla radio che ci informano circa i recenti avvenimenti in Ucraina.
E poi, non per ultimo, c’è il Cinema. In Fallen Leaves compaiono in continuazione vecchie locandine di grandi classici del passato, ora, appunto, all’ingresso di un piccolo cinema di periferia, ora appese sul muro dell’appartamento di uno dei protagonisti.

E mentre a qualcuno I Morti non muoiono di Jim Jarmusch fa addirittura pensare a Band à Part di Jean-Luc Godard (Kaurismaki, si sa, non esita mai a inserire all’interno dei suoi film il suo tipico umorismo, sottile e grottesco allo stesso tempo), è proprio quel piccolo cinema di periferia a far si che i due innamorati possano di volta in volta ritrovarsi. Anche se hanno perso, per un malaugurato incidente, i loro numeri di telefono. Anche se ancora nessuno sa come si chiami l’altro.
Fallen Leaves è, in realtà, un film molto più complesso e stratificato di quanto inizialmente possa sembrare. Un film estremamente raffinato nella sua messa in scena, all’interno della quale una rigida e armoniosa composizione del quadro, unitamente allo straniamento brechtiano performato da ogni attore, contribuisce a conferire al tutto un tocco quasi surreale, come se ci si trovasse quasi in un luogo a sé, come se si stesse assistendo a una storia in cui, per certi versi, il tempo sembra essersi fermato per poi giocare comunque a favore di due giovani innamorati con la leggendaria Serenata di Franz Schubert a fare da perfetto accompagnamento.