Il collettivo Amanda Flor, ora diventato Donkey’s movie, presenta, grazie a Distribuzione Indipendente, Il codice del Babbuino. Il film, diretto da Davide Alfonsi e Denis Malagnino, mette al centro della narrazione la periferia come era accaduto ne La rieducazione e in Ad ogni costo, precedenti opere dell’associazione premiate e consacrate in vari festival.
Nella notte, sul ciglio delle tortuose e incolte strade di periferia, vicino a un campo rom, viene trovato il corpo di una donna in fin di vita, vittima di stupro.
La ragazza è la compagna Tiberio che, accecato dalla rabbia e convinto che gli autori degli abusi siano gli zingari, vuole disperatamente la vendetta e ha intenzione di bruciare le roulotte del campo rom. Al suo fianco Denis, padre disoccupato con figli a carico e sommerso dai debiti. Denis però, davanti alla barbarie subita dalla ragazza, riesce a mantenere la mente lucida e a dissuadere l’amico dall’impulsiva vendetta. I due, a bordo della scassata utilitaria di Denis intraprendono le indagini per capire e punire il vero colpevole, la situazione degenera quando entra in scena “Il Tibetano”, compiaciuto e tronfio boss del quartiere.
Il codice del babbuino è un racconto di frontiera dove i protagonisti si muovono in una città invisibile, illuminata dai fari della macchina e nient’altro, una realtà che opprime chi la vive costringendolo al sogno di un domani migliore lontano da quei posti, ma al tempo stesso li inchioda al cemento della strada negando loro anche la sola possibilità di fare il primo passo per andare via da quei posti.
Il codice del babbuino è un film piccolo, ma non modesto, infatti riesce a sfruttare i pochi elementi che ha al massimo e volge questi limitati ingredienti a suo favore, lavorando per sottrazione e togliendo alla regia ogni artificio o decorazione, rendondosi brutale come la società che racconta, come il mondo della periferia che imprigiona i propri figli con mura di rabbia e solitudine.
Alfonsi e Malagnanino rovesciano sullo schermo una storia fatta di volti disperati e di camera a mano, di poche luci e molte penobre che male nascondo lo squallore della vita di strada e lo fanno comparire tra tristi sorrisi e scatti di ira repressa. Le luci basse inoltre rappresentano in maniera efficace l’assenza di speranza che aleggia nei quartieri dormitorio e quando il film giunge all’epilogo, la dissolvenza a nero grida al posto dei protagonisti la testimonianza di una realtà dura che non lascia niente di luminoso.