Pedro Almodovar dopo quasi quaranta anni torna alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, questa volta non come giovane e promettente regista spagnolo e neanche per ritirare il Leone d’oro alla carriera (come accaduto nel 2019), ma come autore di culto. Presenta Madres paralelas, film di apertura della 78° edizione.

Madres paralelas: trama del nuovo film di Pedro Almodovar

Janis (Penelope Cruz), fotografa affermata madrilena, condivide la stanza di ospedale nella quale sta per partorire con la giovane Ana, anche lei prossima madre. Durante la degenza, tra le due donne nasce un rapporto di amicizia nonostante siano molto diverse: Janis è sicura di sè, Ana è una adolescente sola e spaventata. Mentre vagano come spettri nei corridoi dell’ospedale Janis prende a cuore le insicurezze di Ana e prova in ogni modo a darle coraggio. Dopo il parto le vite delle due donne si dividono, ma il destino le riavvicina e le metterà davanti a scelte drastiche.

Madres paralelas: critica

Almodóvar decide di muovere la narrazione partendo dal desiderio di Janis di riconciliarsi con il proprio passato: la fotografa vuole disseppellire da una fossa comune il corpo del bisnonno ucciso dai falanghisti spagnoli per rendergli una giusta sepoltura. Conosce l’antropologo forense Arturo e dovrà quindi concentrarsi su un nuovo futuro pieno di dubbi. I cambiamenti che il personaggio di Janis affronta minano la sua granitica presenza di donna in carriera, di pari passo Ana intraprende un percorso inverso: da adolescente timorosa si trasforma in donna sicura ed emancipata.

Le pretese iniziali e la forza dei personaggi fanno sperare in un film solido e impegnato, invece colpisce che nella seconda parte, la più almodovariana del film, dove le emozioni si fanno più intense e le due protagoniste sono alle prese con i dolci e indigesti dubbi della scelta, viene meno l’empatia con i personaggi.
Sia Ana che Janisdiventano meno interessanti fino a sembrare solo delle vuote forme vittime di eventi che dovrebbero sconvolgere, ma che passano come errori di comunicazione non tempestiva davvero di poco conto; sia la Cruz che la Smit, a causa di una sceneggiatura ricca di intreccio, ma carente di dialoghi convincenti o almeno originali, spengono la passione per la recitazione proprio mentre tra i loro personaggi scoppia quella amorosa.

Il bisogno di saldare il conto col passato purtroppo resta relegato al prologo e al finale per dare spazio al rapporto tra le due donne, non riaffiora mai risultando quasi scollegato del tutto dalla storia.

Almodovar, come suo solito, costruisce inquadrature complesse e movimenti di macchina funzionali alle emozioni e alla narrazione, mai solo decorativi. Purtroppo prova a mantenere il suo colorato e coinvolgete stile visivo, ma per ragioni di produzione (troppo evidente e pesante il product placement negli arredi) è costretto ad addolcirlo e sfumarlo troppo.

Dopo Dolor y gloria il regista spagnolo non convince del tutto, la sua mano è evidente, le tematiche a lui più care ci sono, ma la narrazione è disomogenea e scattosa, inoltre diverse scene sono davvero troppo cariche (il ritrovamento di un occhio di vetro nella fossa comune rasenta il trash). Dispiace che il ritorno a Venezia di Pedro Almodovar non sia stato esaltante, ma forse il regista ha avuto molti divieti dal produttore Netflix ancora infastidito dalla polemica che lo stesso Almodovar sollevò a Cannes proprio contro il produttore e distributore della N rossa.