Il cinema mi ha salvato la vita. L’ha fatto tante volte, da quando ero un semplice impiegato, tristissimo, della compagnia telefonica spagnola. Poi mi ha aiutato a uscire dalla depressione, ad accettare il passaggio del tempo. Gli amici che perdevo. Tutto quello che ho vissuto, di felice e di doloroso, io l’ho raccontato nei miei film. Serve sempre trovare uno sfogo, un canale in cui indirizzare verso l’esterno le emozioni. Per me lo sono stati i miei film.
Pedro Almodovar, regista, sceneggiatore, produttore, scrittore e musicista… è decisamente riduttivo racchiudere in un singolo sostantivo questo artista spagnolo.
Meglio descriverlo utilizzando un aggettivo: “almodovariano”. Tutti i cinefili sanno cosa significa. E’ un modo di raccontare controcorrente, realistico e originale, provocatorio e scandaloso, libero e dalle emozioni forti. Al centro delle storie di Pedro Almodovar ci sono i legami tra donne, tra uomini, tra madri e figli.
I temi più trattati sono: la passione, l’ambiguità in ambito sessuale, l’amore omosessuale e non. Per riconoscere un film di Pedro Almodovar basta un fotogramma: i colori, le scenografie, gli attori, le ambientazioni…in un frame è racchiuso tutto il suo mondo barocco, coloratissimo e passionale.
Per molti, è considerato “il regista delle donne” dato che ha raccontato come nessun altro l’universo femminile. Lo ha fatto con il suo tocco unico, mostrandoci le personalità delle donne dall’interno delle mura di casa; attraverso i loro desideri e i legami d’amore, d’amicizia e di disdegno.
La donna almodovariana è molto lontana dagli stereotipi che ci sono stati mostrati sul grande schermo, soprattutto nel cinema hollywodiano.
La figura della madre è una delle più amate da Pedro Almodovar ed è al centro del racconto del suo ultimo film Madres Paralelas con Penélope Cruz, Milena Smit, Israel Elejalde, Aitana Sánchez-Gijón, Julieta Serrano e Rossy De Palma.
La pellicola tratta la storia di due donne, Ana e Janis, che condividono la stanza di ospedale in cui stanno per partorire. Entrambe sono single e in una gravidanza non attesa, a dividerle c’è la differenza d’età. Ana è un’adolescente spaventata, mentre Janis è una donna matura che non ha rimpianti. Le ore che trascorreranno insieme in ospedale le legheranno moltissimo e cambieranno per sempre le loro vite.
Madres Paralelas è il film di apertura della 78esima mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.
Nasco come regista proprio a Venezia nel 1983 nella sezione Mezzogiorno Mezzanotte. Trentotto anni dopo vengo chiamato a inaugurare la Mostra. Non riesco ad esprimere la gioia, l’onore e quanto questo
rappresenti per me senza cadere nell’autocompiacimento. Sono molto grato al festival per
questo riconoscimento e spero di esserne all’altezza

Il cinema di Pedro Almodovar
Almodovar è dichiaratamente omosessuale e ateo. Questi due elementi caratterizzano il suo
cinema in cui spesso, con un tono autoironico, è riuscito a raccontarsi.
Classe 1949, frequenta le scuole elementari e medie a Caceres, nella Mancha, in istituti gestiti da
Salesiani e Francescani. Questo periodo ha segnato la vita regista. Gli educatori dei centri commisero abusi sui suoi compagni e proprio per questo prese le distanza dalla chiesa cattolica. Ma è proprio in quegli anni che esplode in lui una passione per il cinema che lo porta, all’età di 16 anni, a trasferirsi a Madrid per inseguire il suo sogno di diventare regista.
Il regime franchista, però, poco dopo chiude le scuole di cinema. Così, Almodovar si mantiene
vendendo oggetti usati e lavorando per una compagnia telefonica, ma non si perde d’animo. Con i
suoi primi guadagni acquista una Super-8 e gira dei cortometraggi. Vive appieno il clima culturale
trasgressivo della movida madrilena, tra fumetti, teatro underground, recitando in gruppi teatrali
d’avanguardia e suonando in un gruppo rock alternativo.
Poco dopo la nascita della democrazia, Pedro Almodovar realizza il suo primo film Pepi, Luci, Bom
e le altre ragazze del mucchio (Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón, 1980).
Girato in 16mm e poi “gonfiato” in 35mm, desta scandalo al Festival di San Sebastian. Un esordio col botto, ricco di provocazioni che con la sua schiettezza gli consente di ottenere i capitali per realizzare il suo secondo film Labirinto di passioni (1982), un affresco della movida madrilena all’inizio degli anni ’80.
L’anno successivo presenta al Festival di Venezia L’indiscreto fascino del peccato, attirando anche l’attenzione del pubblico internazionale.
Il 1986 è l’anno di Matador, film che accende i riflettori su Antonio Banderas, destinato a futuri
successi oltreoceano.
Poco dopo, insieme al fratello Augustin, fonda la casa di produzione El Deseo. Finalmente può realizzare il suo cinema in autonomia.

Prosegue il legame con Banderas prima nel 1987 con La legge del desiderio e poi l’anno seguente con il primo grande successo di Pedro Almodovar: Donne sull’orlo di una crisi di nervi (Mujeres al borde de un ataque de nervios)
Il film parla di una donna in procinto di essere abbandonata dal suo amante, un noto doppiatore cinematografico. Mentre cerca di rintracciarlo, incontra il figlio dell’amante, un’amica che crede di essere inseguita dalla polizia e anche nella nuova fiamma del suo ex.
Una divertente farsa degli equivoci che raccoglie premi in tutto il mondo, tra cui una candidatura agli Oscar, una ai Golden Globes e che ha vinto un premio ai Nastri d’Argento.
In seguito dirige Légami! (¡Átame!) (1990), Tacchi a spillo (Tacones lejanos) (1991), Kika – Un
corpo in prestito (Kika) (1993), Il fiore del mio segreto (La flor de mi secreto) (1995), Carne trémula (1997) e Tutto su mia madre (Todo sobre mi madre, 2000), che fa incetta di premi in
tutto il mondo, dall’Oscar al Golden Globe come miglior film straniero passando per il César, il David di Donatello, la miglior regia a Cannes e 7 premi Goya.
Un ragazzo di nome Esteban, non ha mai saputo chi fosse il padre. Sua madre Manuela non glielo ha mai voluto rivelare. Il giorno del suo diciassettesimo compleanno, perde la vita venendo investito a un incrocio. Da quel momento Manuela decide di soddisfare l’ultimo desiderio di suo figlio. Va a Barcellona alla ricerca di un transessuale di nome Lola, nato Esteban. E’ lui il padre di suo figlio. Una trama emotivamente complessa, una moderna tragedia greca che affronta temi forti come la malattia, l’identità sessuale, la donazione di organi, il rapporto tra eros e thanatos.
Proprio questo rapporto è alla base di Parla con lei (Hable con ella,2002) un film sull’amore in ogni sua forma, da quello carnale e feticista a quello non corrisposto e quello alla base dell’amicizia. Il film vince un premio Oscar per la sceneggiatura originale e un Golden Globe al miglior film straniero. Il personaggio di Benigno – interpretato da Javier Camara – è un omaggio da parte di Pedro Almodovar a Roberto Benigni, suo amico.
Nel 2004 dirige La Mala Educacion un film che è un racconto a scatole cinesi, di storie che contengono altre storie. Parte da uno spunto autobiografico (l’infanzia del regista nei collegi dei preti negli anni 60’) ed è un melò diviso tra presente e passato con Gael Garcia Bernal come protagonista.
E’ una pellicola un po’ insolita per Pedro Almodovar. Infatti, i personaggi sono tutti di sesso maschile a parte tre figure minori: una madre anziana, una nonna decrepita e una sarta che compare pochi attimi sul set del film nel film.
E’ un noir che parla di violenza e amore, senza voler destare scandalo nonostante alla base del racconto ci siano delle molestie subite da minori da parte dal direttore del collegio, un uomo di chiesa. Una “cattiva educazione” che segnerà per sempre la vita dei due protagonisti della pellicola. Almodovar, in questo film, esplicita la sua posizione nei confronti della chiesa cattolica.

La Mala Educacion ha aperto il 57esimo Festival di Cannes, ma è nel 2006 che Pedro Almodovar
vince alla Croisette due premi molto importanti grazie al film Volver: il premio alla miglior sceneggiatura e quello assegnato al cast al femminile. La vera protagonista del film è l’assenza: quella di una madre scomparsa, creduta morta. E’ una storia che parla del ritorno, un riandare
indietro con i ricordi, ma anche nei luoghi dove si è stati bene. Tornare alle origini, al passato, per la resa dei conti rimasti in sospeso nel presente.
A ricoprire il ruolo principale è un’intensa Penelope Cruz che ci regala una delle migliori performance della sua carriera.
Nel 2006 Pedro Almodovar torna a Cannes con Gli abbracci spezzati (Los abrazos rotos) che,
però, non ha convinto la giuria. Il film è un omaggio al cinema classico, come ricorda lo stesso titolo, e racconta di uomo (Mateo Blanco) che vive, scrive e ama nel buio. Ha perso la vista in un incidente d’auto a Lanzarote, ma anche la donna della sua vita: Lena.
Il film ha ottenuto una candidatura ai Golden Globes, una candidatura ai BAFTA, quattro candidature e un premio vinto all’ European Film Awards e ha vinto un premio anche ai Critics Choise award. Probabilmente Pedro Almodovar non avrebbe mai iniziato a scrivere Gli abbracci spezzati se non fosse stato per l’emicrania che ha iniziato ad affliggerlo dopo le riprese di Volver. Ha confessato:
Ho provato a studiare l’emicrania per vedere come si sviluppava e il risultato è sempre lo stesso, un dolore acuto che quando diventa insopportabile ti costringe a stare al buio. E’ una condizione fisica che ti rende particolarmente sensibile e non ti permette di leggere, scrivere o stare al computer o davanti alla tv. Però, nonostante l’emicrania, nell’oscurità potevo pensare e viaggiare con la mente ed è stato nei momenti di maggiore sofferenza che ho iniziato a immaginare la trama.
Non tutti i mali vengono per nuocere, insomma. Gli abbracci spezzati è un film nato dal dolore, mentre il film successivo è basato sulla fissazione. In La pelle che abito (La piel que habito, 2011) Antonio Banderas interpreta un chirurgo con una malsana ossessione per la morte di sua moglie (deceduta in un incidente che l’ha completamente carbonizzata) e di sua figlia. Avvia una serie di esperimenti con lo scopo di creare una nuova pelle grazie ai progressi della scienza, in un thriller/horror tratto dal romanzo Tarantola (Mygale) di Thierry Jonquet.
Pedro Almodovar si cimenta in un genere che non aveva mai sperimentato e il film non ha convinto molto né la critica né il pubblico. Il cinema del regista spagnolo ci ha abituati all’approfondimento dei rapporti che legano i personaggi, ai loro dubbi esistenziali. Mentre in quest’opera vengono deluse le premesse che sembrano presagire uno sviluppo più nero; la tensione psicologica si spegne e i personaggi sono descritti superficialmente.
Sono comunque presenti gli elementi almodovariani come la fotografia accesa e situazioni sopra le righe, però si tratta sicuramente di uno dei film meno riusciti del regista iberico.
Il 2013 è l’anno de Gli amanti passeggeri (Los amantes pasajeros) una commedia irrealistica ad
alta quota ricca dell’umorismo dell’Almodovar degli anni ’80 adattatosi al nuovo millennio.
Tre anni dopo, il regista lascia le storie tra le nuvole e torna a raccontarci personaggi legati indissolubilmente al proprio destino.
Con Julieta (2016) mette in scena un dramma con protagonista una professoressa di cinquantacinque anni, Julieta appunto. Sua figlia Antia l’ha lasciata appena diciottenne e lei decide di confessarle, per iscritto, tutto quello che ha messo a tacere dal momento del suo concepimento.
Un melò almodovariano che sembra essere stato girato col freno a mano dal regista spagnolo. Sono
presenti tutti gli elementi tipici del suo cinema,ma in forma minore.
La lacrima che vuol far scendere dai nostri occhi, stenta a uscire. Il calore dei suoi colori non bastano a scaldare questa pellicola. Ben diverse, invece, sono le emozioni che scatena Dolor y Gloria del 2019, un film catartico per Almodovar che ribadisce il potere salvifico che il cinema ha avuto in tutta la sua vita.
Sia il personaggio che io viviamo il grande problema di credere di non poter vivere senza il cinema,
proviamo il grande senso di smarrimento che può venire dalla crisi di ispirazione e anche dalla sensazione di non poter tornare sul set per dolori fisici e la depressione. È la mia paura più grande,
convivo con questo fantasma. Quando nel monologo lui dice ‘il cinema mi ha salvato’ è esattamente quello che è successo a me.
Antonio Banderas questa volta è Salvador Mallo, un regista nel crepuscolo della sua carriera, riflette sulle scelte che ha fatto nella vita come il passato e il presente arrivano schiantandosi intorno a lui. Almodovar ha riunito sul set tre delle sue muse: Penelope Cruz, Antonio Banderas e la provincia di Valencia. Un po’ come Mastroianni per Fellini, Banderas diventa l’alterego del regista.
Nessuno avrebbe potuto interpretare quel ruolo come lui. Molte delle cose che racconto, Antonio le ha vissute al mio fianco
Il film è piaciuto molto sia al pubblico che alla critica e ha ottenuto due candidature agli Oscar, due ai Golden Globes, quattro agli European Film Awards ( di cui due premi vinti), una candidatura ai BAFTA, una ai Cesar e ha vinto ben sette Goya.
L’ottava collaborazione tra Almodovar e Banderas ha regalato all’attore la sua prima candidatura agli Oscar come miglior attore protagonista.
Il primo incontro tra i due risale agli anni Ottanta, periodo in cui l’attore frequentava i corsi di teatro
al Centro Dramatico Nacional di Madrid.
Ero in un bar del teatro, a prendere un caffè con alcuni colleghi, quando a un certo punto entra un
tipo strano con una maglietta attillata. Mi guarda e mi dice che ho una faccia da eroe romantico e
che dovrei fare cinema
ricorda Antonio Banderas. Poco tempo dopo, Pedro Almodovar lo ingaggerà per Labirinto di Passioni, il primo film insieme che segna l’inizio di una lunga collaborazione tra i due.
A proposito di legami artistici, è impossibile non citare quello tra il regista e l’attrice Carmen Maura con cui ha girato i suoi primi cortometraggi e ben sette film in dieci anni e il connubio con Marisa Paredes, presente in sei film del regista.

Il cinema di Pedro Almodovar nasce dalla sua instancabile penna.
Scrivo racconti, non li pubblico, ma lo faccio di continuo. Nella mia testa, ciascuno di essi potrebbe diventare una scena di dieci-quindici minuti, se mai mi servirà dentro un film. E penso che ogni storia, prima o poi, troverà la sua collocazione, il suo film.
La genesi di ogni sceneggiatura è complessa e misteriosa. Quando scrivo non so mai dove arriverò. Le ultime scene mi vengono scrivendole.
Chissà quanti film, ancora, ci dobbiamo aspettare da questo talentuoso artista premiato con il Leone d’Oro alla carriera nel 2019 alla Mostra del Cinema di Venezia.
La cosa certa è che, se mi guardo allo specchio, non vedo un uomo che ha raggiunto la felicità , il benessere e la serenità perché le sue opere sono state apprezzate. Il successo professionale non mi ha garantito niente di tutto ciò. Mi ha semplicemente permesso, ed è una cosa molto importante,
di poter lavorare in totale libertà e indipendenza
queste le parole di Pedro Almodovar riguardo alla sua vita e alla sua carriera. Del resto, come dice Marisa Paredes in Tutto su mia madre: “La vera autenticità non sta nell’essere come si è, ma nel riuscire a somigliare il più possibile al sogno che si ha di se stessi“.
Pedro Almodovar, senza dubbi, è un uomo autentico.
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