Entrare per la prima volta in un cinema, vivere il fascino della sala buia, sentire l’odore dei pop corn che scoppiettano e restare immersi in un’atmosfera che inevitabilmente ha segnato un destino già scritto come quello di Martin Scorsese che oggi spegne ottanta candeline!

Uno dei maggiori registi, esponente della Nuova Hollywood, senza ombra di dubbio rappresenta un punto fermo all’interno della storia del Cinema e ha conquistato il pubblico con capolavori come Taxi Driver, Quei Bravi Ragazzi, The Departed, fino al suo più recente The Irishman.

Nato il 17 novembre del 1942 nel distretto del Queens di New York da genitori italoamericani, Scorsese cresce a Little Italy e passa buona parte della sua infanzia in disparte a causa dei suoi problemi di asma. Costretto a rimanere in casa e a guardare il mondo dalla finestra della sua camera, ne scopre altri nei film.
I Neorealisti italiani, il grande western, la Nouvelle Vague , Duello al Sole (1946) di Vidor e Le Forze del Male (1948) di Polonsky (per sua stessa ammissione) insieme ai lavori indipendenti di John Cassavetes, contribuiscono alla formazione visiva di Scorsese.

Destinato in un primo momento alla vita ecclesiastica, la abbandona perché non in linea con i suoi personali ritmi da cinefilo e anche per aver ricevuto la “chiamata del rock n’ roll”. Nel 1960 si iscrive al corso di cinematografia della New York University.
Dopo aver fatto esperienza nei corti, Martin Scorsese scrive e firma nel 1967 il suo primo lungometraggio dal titolo Chi sta bussando alla mia porta (Who’s that knocking at my door), ambientato a Little Italy con un esordiente Harvey Keitel.
Già dall’esordio sono presenti alcuni elementi che saranno parte fondante del suo cinema come i dialoghi energici e l’utilizzo spiazzante della colonna sonora.

Scorsese abbandona l’utilizzo della musica come tappeto decorativo coerente con le immagini per prediligere uno stridente contrasto al fine di creare delle sfumature, un dinamismo emozionale spesso intriso di drammaticità.
La musica non è solo funzionale al meccanismo della tensione, come nel caso della scena della sfilata cittadina del 4 luglio in Cape Fear – Il Promontorio della Paura, ma è adoperata per enfatizzare condizioni interiori dei personaggi come nel caso di Taxi Driver. Lo stato di emarginazione sociale di Travis Bickle viene scandito da dei suoni che potremmo definire distorti e dalla straniante musica jazz composta da Bernard Herrmann.

Con i suoi 25 film – il ventiseiesimo è in uscita nel 2023 – e i suoi 19 documentari, il cinema di Scorsese ha la grande caratteristica di snodarsi attraverso più generi, toccando persino tematiche spirituali ne L’Ultima Tentazione di Cristo (con cui il regista cerca di rappresentare una figura di Cristo più umana che divina) e Silence, tuttavia Scorsese riesce ad essere indimenticabile soprattutto con i thriller, i drammi e gangster movie.

È attraverso questi generi più popolari che prendono vita storie che raccontano le sorti di protagonisti che si muovono tra il successo e il fallimento, l’ascesa e la caduta.
Sono antieroi che, per quanto possano compiere delle scelte discutibili o per quanto possano essere crudeli e disumani, mantengono un loro lato umano e fanno i conti con una serie di conflitti interiori causati in loro dalle condizioni sociali.

È lo stesso Scorsese a mostrare ogni sfumatura psicologica dei suoi personaggi, delle sue fragili creature perdute in un mondo cosparso di violenza. Quest’ultima, sia interiore che esterna, è un ulteriore aspetto della poetica di Scorsese, accompagnata spesso da iperrealismo della scena e supportata da storie radicate nella malavita cittadina, anche passata come in Gangs of New York.

Dall’iperrealismo sfociano scelte stilistiche innovative come il freeze frame e virtuosi movimenti di macchina; basti pensare alle dissolvenze presenti in Casinò, oppure al passaggio da inquadratura oggettiva a soggettiva che avviene sia nel taxi di Travis Bickle, che durante l’entrata di Henry nel locale Five Towns in Quei Bravi Ragazzi.

Attraverso il suo cinema, Scorsese è riuscito ad affermarsi all’interno dell’immaginario cinematografico attraversando generi differenti e riuscendo nell’intento di umanizzare anche il personaggio più meschino che sceglie di perdere la propria anima o di ritrovarla.

Sembra quasi che durante tutta la sua carriera Martin Scorsese non si sia solo limitato a raccontare delle storie, ma abbia cercato di rivelare il suo grande amore per la complessa quanto affascinante settima arte e trasmetterlo persino allo spettatore più superficiale; chiunque ricorda almeno una scena dei suoi film e tutti almeno una volta abbiamo chiesto alla nostra immagine riflessa nello specchio:

“Hey, tu…stai parlando con me?”