Mi chiamano John Ford e faccio western.
Così amava presentarsi il regista più amato e rispettato della Hollywood classica e maestro riconosciuto del genere western.
John Ford, nato Sean Aloysius O’ Fearna (O’Feeney o O’Fienne nella grafia anglicizzata), inizia a lavorare per il cinema nel 1916 e, nella sua lunga carriera, realizza quasi 130 pellicole che vanno dal western all’avventura fino al racconto della realtà che lo circondava, senza mai abbandonare una dimensione quasi di cronaca delle difficoltà e delle problematiche dell’uomo.
Semplice, diretto e immediato, divertente e non di rado di qualità, il cinema di Ford stupisce per la sua varietà di argomenti e situazioni oltre che per le innovazioni narrative e tecniche utilizzate in maniera sperimentale, con lo stesso spirito dei pionieri ai quali dedicò molte delle sue storie.
John Ford fu la punta di diamante della Fox, autore di alcuni bellissimi western dell’epoca d’oro, è da considerarsi il maestro del genere che nella sua filmografia occupa una parte preponderane e molte di queste opere sono ritenute classici ai quali presero parte tutti i maggiori attori dell’epoca, primo fra tutti l’inseparabile amico del regista John Wayne.
Ford portò in auge i buoni sentimenti dei cowboy, le scazzottate e gli immensi spazi naturali, ma certamente è sbagliato considerarlo solo come autore di film d’evasione. Lo ricordiamo, infatti, anche per i suoi imponenti affreschi sociali e gli adattamenti di prestigiose opere letterarie come Furore da John Steinbeck del 1940 e Come era verde la mia valle del 1941 tratto dall’omonimo romanzo di Richard Llewellyn.
Specialista anche di storie ambientate in Irlanda e di film squisitamente d’avventura, firmati con lo pseudonimo di Jack Ford, ottenne il suo primo oscar con Il traditore nel 1935 e quattro anni dopo realizza un capolavoro indiscusso del genere western e della storia del cinema: Ombre rosse che lo consacra come uno dei migliori registi americani del suo tempo e come colui che ha, senza dubbio, riscritto i paradigmi e gli archetipi del genere americano per eccellenza.
L’originalità narrativa e la dimensione psicologica di Ombre Rosse, vagamente ispirato a Palla di sego di Maupassant, tracciano un nuovo modo di affrontare ed approcciarsi al genere. I cowboy finalmente hanno una coscienza e dei marcati sentimenti, i personaggi sono sempre tratteggiati con finezza psicologica e una dose di sottile ironia. Inoltre la messa in scena, ricca di campi lunghissimi e panorami trasforma lo scenario in un vero e proprio personaggio che ospita i protagonisti e le “ombre rosse” degli indiani che li minacciano dall’alto.
Dello stesso filone ricordiamo Il cavallo d’acciaio, grande affresco sull’epoca della costruzione della prima linea ferroviaria americana che univa la costa dell’Atlantico con quella del Pacifico, Il massacro di Fort apache, I cavalieri del nord ovest e La carovana dei mormoni che portavano sullo schermo le difficoltà e i rischi dell’attraversare i territori indiani.
Anche Sentieri selvaggi e Soldati a cavallo possono agevolmente rientrare in un’antologia del western classico, invece con Il grande sentiero, Ford vira verso uno stile più complesso, in linea con la tendenza degli anni ’60.
Esigente, geniale nel trovare la soluzione perfetta per la messa in scena, patriota fino all’infastidire e preoccupato della sorte dei diseredati, Ford rientra comunque nello spirito dei suoi tempi: il rifiuto verso la cultura indiana lo porta ad una rappresentazione negativa e quasi grottesca di quel popolo e i suoi film di conseguenza mostrano tutti una versione censurata della conquista dell’ovest. Si riscattò con una visione più lungimirante nei riguardi del problema dei neri con Il western procedurale I dannati e gli eroi del 1960.
A una prima lettura nelle opere di John Ford sembrano esaltati soltanto valori come l’individualismo, la famiglia, la libertà, la giustizia, l’orgoglio di appartenere alla nazione americana, ma a uno sguardo più attento vi affiorano spesso aspetti conflittuali e controversi che di quella stessa realtà rappresentata evidenziano problemi e drammatiche contraddizioni.
John Ford, con i suoi 126 film e gli aspetti sociali e storici trattati in essi è tra i registi più amati negli Stati Uniti, ha contribuito allo sviluppo di una “identità nazionale” e ha segnato i passaggi d’epoca del cinema mondiale con un tratto assolutamente riconoscibile ed efficace.
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