Con l’ultimo capitolo Furiosa: A Mad Max Saga nelle sale italiane dal 23 maggio 2024 (che vede come protagonisti Anya Taylor-Joy e Chris Hemsworth),  è quasi d’obbligo rivedere come si piazza nella storia del cinema il mondo distopico creato dal maestro George Miller ben 45 anni fa.

La saga, dunque, inizia nel 1979 e ha all’attivo cinque film, diventando un cult del cinema d’azione in un contesto post apocalittico.
Nei film si superano gli archetipi di eroi, anti-eroi,  antagonisti e per questo si assiste a pura anarchia: in Mad Max non c’è logica, non c’è tantissimo storytelling, non ci sono molti dialoghi ma c’è caos esagerato ed accelerato.
George Miller riformula l’action con l’intuizione di prendere gli elementi più ridicoli del genere, gonfiandoli fino a rendere le scene uniche ed iconiche.  

Mad Max – Interceptor: il miracolo di George Miller

Nel 1979 George Miller e Byron Kennedy, insieme ad una piccola troupe cinematografica australiana, portarono Mad Max al mondo. Uscita in Italia con il titolo Interceptor, la pellicola vede come protagonista un giovane e ancora inesperto Mel Gibson, Joanne Samuel (famoso per I Sullivans e Dottori agli antipodi), Hugh Keays-Byrne (nei panni dell’antagonista Toecutter), Steve Bisley e Tim Burns. 

Il film si installa in un futuro non troppo lontano, antitecnologico e sull’orlo del collasso sociale. Siamo in Australia, dove le riserve di energia iniziano ormai a scarseggiare. Se, in un primo momento, le regioni desertiche sono abitate da comunità che vivono in pace, presto la società inizia a sgretolarsi. Tra le strade della città camminano dei folli criminali che la Main Force Patrol si occupa di tenere a bada. 

Crawford “Nightrider ” Montizano (Vince Gil), membro della banda di motociclisti Berserk, viola la custodia della polizia e scappa a bordo di una MFP Pursuit Special rubata. Sebbene riesca a eludere i suoi primi inseguitori, Nightrider incontra il “miglior inseguitore” della MFP, il protagonista Max Rockatansky (Mel Gibson).
Si avvia un inseguimento snervante ad alta velocità che provoca la morte del Nightrider e della donna al suo fianco in un violento incidente automobilistico.

Nel frattempo, la banda di motociclisti Armalite di Nightrider, guidata dal barbaro “Toecutter” (Hugh Keays-Bryne) e dal suo luogotenente Bubba Zanetti (Geoff Parry), vandalizza una cittadina. Max e il suo collega ufficiale Jim Goose (Steve Bisley) riescono ad arrestare il giovane protetto di Toecutter, di nome Johnny the Boy (Tim Burns). Tuttavia, quando nessun testimone si presenta al processo, Johnny viene rilasciato. Questa decisione del tribunale scatena una lite tra Johnny e Goose, che porterà quest’ultimo in un altro incidente perché sabotato proprio da Johnny.

Il capitano della MFP,  liberando i suoi ufficiali per inseguire le bande come vogliono, dà l’inizio ad un susseguirsi di corse pazze e imboscate, dove uccidere diventa l’obiettivo principale. Ciò porta Max a non fidarsi più nemmeno delle forze di polizia, temendo di diventare brutale come i membri della banda se restasse al lavoro. Decide, così di dare le dimissioni, ma il capitano della MFP lo convince a prendersi una vacanza prima di prendere la decisione definitiva sulla partenza. Purtroppo, durante la vacanza Max subisce l’omicidio della moglie Jessie (Joanne Samuel) e del figlio per mano della banda di Toecutter a cui fa seguito un’enorme voglia di vendetta che lo trasforma in Mad Max per sempre, eliminando uno ad uno i membri della banda.

Mad Max ci catapulta in un mondo ambientato a pochi anni da oggi, dove la società è crollata a causa della carenza di petrolio. In questo scenario medio-apocalittico, civili disperati fuggono terrorizzati dalle bande selvagge che dominano le strade. La vita ha poco valore in questa storia, sia per i poliziotti che per i criminali, dove il brivido dell’inseguimento primeggia sulla ricerca della giustizia.

La storia di Mad Max è così semplice che si adatta perfettamente al cinema d’exploitation, ovvero quel cinema che fa leva su temi sociali scomodi e rilevanti operando spesso al di fuori dei canoni del cinema mainstream, contando su budget ridotti, tecniche di produzione veloci e a basso costo e marketing aggressivo. CGI praticamente nulla, una sola telecamera, una gru e cinque lenti danneggiate comprate a basso costo: il film non è sicuramente “pulito” nella sua esecuzione, ma è questo che rende Interceptor unico nel suo genere. Le inquadrature che barcollano, l’artigianalità della fattura del film fa sì che lo spettatore si senta parte della storia e presente in ogni scena. 

La natura “improvvisata” del film è dovuta anche alla carriera da regista altrettanto improvvisata: George Miller, studia medicina all’Università del Nuovo Galles del Sud e parallelamente frequenta workshop di cinema e realizza film sperimentali. Così, incontra il regista Byron Kennedy con cui fonda la Kennedy Miller Productions. Durante questo periodo, Miller lavora in un pronto soccorso a Sydney, guadagnando denaro per finanziare la sua carriera cinematografica e acquisendo esperienza nel trattare ferite da incidenti stradali, influenzato anche dalla morte di amici in incidenti stradali durante la sua adolescenza.

Per realizzare Mad Max, Miller racimola poco più di  350.000 dollari australiani (215.000 €), un budget veramente ridotto che costringe la produzione ad affidarsi a veri membri di bande motociclistiche, pagandoli perfino in birra. Quello di Miller è un miracolo considerato quanti soldi vanno nelle maestranze del cinema e lui è riuscito a fare un cult come fosse un episodio di Art Attack

Purtroppo, l’elemento che ne esce meno vincente dal poco budget è il sound design del film: la colonna sonora, in alcuni momenti, risulta un po’ troppo alta, spesso soffocando i dialoghi. Non potendo permettersi la codifica audio Dolby stereo, la produzione utilizza il mono. Non a caso, abbiamo un esempio tra i livelli incoerenti tra effetti sonori, dialoghi e musica quando un poliziotto arriva per incontrare Max e sua moglie, scoprono una mano mozzata sulla loro macchina e la musica sovrasta completamente i loro dialoghi. 

Interceptor – Il guerriero della strada: il futuro post apocalittico di Mad Max

Dopo il successo internazionale di Mad Max, George Miller e il team di produzione tornano al cinema due anni dopo con Il guerriero della strada
Girata a Broken Hill, sempre in Australia, la pellicola presenta le caratteristiche dei western sia nella struttura della trama, sia nel suo personaggio principale, poiché anche se sembra ormai impassibile, Max Rockatansky lascia intravedere umanità e spirito di sacrificio. In questo film, lo sguardo si spande su un mondo completo distrutto dall’apocalisse, collassato su se stesso, che in qualche modo cerca di andare avanti senza prendersi troppo sul serio. 

Diventa subito un  successo commerciale e vince il Saturn Award per il miglior film internazionale e si posiziona tra i cult, continuando tuttora ad ispirare fan club dedicati ai ”guerrieri della strada”.

Nonostante il successo del primo film, il cast del secondo è completamente rinnovato, con Mel Gibson come unico attore presente nella serie, affiancato da Michael Preston, Bruce Spence, Virginia Hey, Kjell Nilsson e Vernon Wells. Il sequel, prodotto con un budget dieci volte più grande rispetto al film precedente, rappresenta pertanto il primo vero film post-apocalittico della serie.

In questo secondo capitolo, Max Rockatansky vaga per il deserto a bordo di una V-8 Pursuit Special  alla ricerca di cibo e soprattutto di benzina, che è diventata un bene prezioso. Ha anche un cane da compagnia e un fucile a canne mozze quasi scarico. Quasi subito si scontra con una squadra di predoni guidati dal guerriero motociclista Wez (Vernon Wells). Tra autogiri e raffinerie, Max incontra sul cammino Capitano Gyro (Bruce Spence), che successiamente gli sarà d’aiuto per superare trappole e ostacoli.

Accampato su una scogliera che domina la raffineria di petrolio, Max osserva una banda di predoni guidati dal cupo e carismatico Lord Humungus (Kjell Nilsson), un uomo grosso e muscoloso con una maschera da hockey sul viso sfigurato, che cercano di convincere dei coloni a delle offerte apparentemente pacifiche. La mattina dopo i veicoli di quattro coloni escono rombando dalla raffineria, ma i predoni li inseguono, uccidendo e catturando la loro gente. Max decide di agire e di vendicare i coloni.

Qui incontra un ragazzino selvaggio (Emil Minty), con un talento per i boomerang. Partono una serie di inseguimenti vari fino a che Max non riesce ad uccidere sia Wez sia Lord Humungus. Nel finale, il narratore si rivela l’ormai cresciuto ragazzino selvatico, spiegando come col tempo sarebbe diventato lui stesso il capo della Grande Tribù del Nord, ma non avrebbe mai più rivisto Max.

Nel film, c’è un lato quasi cartoonesco dato sia dai pochi e goffi dialoghi, ma anche dalle scene ironiche, come quando vengono svelati i due amanti da sotto il telo nel bel mezzo di una guerriglia, o le dita mozzate che volano via come würstel o ancora i “jump scare” di Wez e il ragazzino selvatico. È come se per Miller questa follia un po’ sciocca fosse la benzina dei comportamenti folli e assurdi dei personaggi, che hanno perso la testa come effetto collaterale della scarsità di questo mondo post-apocalittico. 

Oltre la sfera del tuono: la fine della trilogia

Grazie agli apprezzamenti da parte del pubblico e della critica, nel 1985 viene distribuito Oltre la sfera del suono. Un film che per molti risulta fuori posto rispetto ai precedenti, probabilmente perché qui Miller viene aiutato dal co-regista George Ogilvie, creando un film quasi spezzato in due. Questa volta, c’è un enorme budget dietro la produzione, che cercava di capitalizzare la crescente popolarità della serie, inserendo grandi nomi al fianco di Mel Gibson, come Angry Andersone, Frank Thring e Tina Turner, che canta anche la colonna sonora del film con l’intramontabile pezzo “We Don’t Need Another Hero” e “One of the Living”.

Il film aggiunge solo un po’ più di contesto al mondo di Mad Max, rivelando per la prima volta che la guerra nucleare ha contribuito a creare questo futuro, oltre alla crisi energetica che ha scosso per la prima volta la società.

La pellicola si apre con Max Rockatansky (Mel Gibson) che vaga ancora una volta nel deserto quando quasi tutti i suoi averi vengono rubati, portandolo a Barter Town dove si trova rapidamente coinvolto nel conflitto tra i leader antagonisti, ovvero la regina Aunty Entity (Tina Turner) e il gestore della centrale Master – Blaster, che non sono altro che un signore anziano seduto (Angelo Rossitto) sulle spalle di un uomo tutto muscoli (interpretato da due attori, Stephen Hayes e Paul Larsson). Aunty Entity propone a Max di uccidere Blaster, “il corpo” di Master, per ricevere una ricompensa e Max accetta.

Così, provoca Blaster ad affrontarlo in una sfida nella sfera del tuono, un’arena in cui i due devono combattere con armi. Max riesce a sconfiggere Blaster, ma togliendogli la maschera scopre che è un ragazzo affetto dalla sindrome di Down, perciò ne ha pietà e non lo uccide.

Purtroppo, gli scagnozzi di Aunty lo fanno al suo posto e anche Max viene punito per aver rotto il patto. Per questo, viene mandato in esilio nel deserto tra le sabbie mobili. Qui viene salvato da una tribù di ragazzi e bambini selvaggi che vivono in un luogo verdeggiante e isolato, ignari del mondo circostante. Sono alla ricerca della “Città del domani”, e scambiano Max per il loro “salvatore” che dovrebbe soccorrerli con una macchina volante.

Dai loro racconti Max capisce che in realtà sono i figli dei superstiti di un aereo schiantatosi nel deserto, lasciati lì ad aspettare i genitori che, partiti per cercare soccorso, non hanno più fatto ritorno. Nonostante Max riveli la verità, alcuni ragazzi scappano per cercare a piedi il luogo dei loro sogni. Arrivano, tutti insieme, di nuovo a Bartertown. Qui Max libera Master, scappando a bordo della sua vecchia motrice, ora trasformata in treno. 

Scatta un inseguimento tra Aunty e i suoi scagnozzi e Max con i bambini e Master, ma ad un certo punto si fermano perché incontrano Jedediah (nuovamente Bruce Spence) e suo figlio. In un atto di redenzione, perché aveva venduto poprio lui Max ad Aunty, Jedediah porta tutti in salvo su un piccolo aereo, tranne Max, che rimane a terra per permettere agli altri la fuga.

Aunty decide di risparmiare Max, che rimane solo in mezzo al nulla mentre il resto del gruppo riesce a raggiungere in volo una Sydney spettrale oscurata da tempeste di sabbia. La storia si conclude con un salto temporale nel futuro, dove vediamo una delle bambine della tribù ormai donna e con un bimbo tra le braccia, raccontare il gesto eroico di Max e di come li abbia salvati.

Senza mancare di rispetto per il dolore di coloro che ne sono rimasti coinvolti, si può dire che la morte del co-autore Byron Kennedy è l’effetto farfalla per questo film. Miller, sconvolto dal lutto, chiede aiuto al regista teatrale George Ogilvie, che lo aveva aiutato in passato come mentore. Miller si occupa, dunque, delle scene d’azione mentre Ogilvie dirige tutto il resto. Il risultato è un film che alterna momenti di pura azione, di inseguimenti, a sequenze più adatte ad un film di avventura.

Miller ha il suo stile frenetico caratteristico per le scene d’azione, mentre Ogilvie ha un approccio più rilassato al prodotto filmico e lascia che il film prenda vita anche tra i momenti più silenziosi. Ciò è possibile anche perché il tempo trascorso dalla catastrofe fa intuire che  qualsiasi auto rimasta è stata smantellata e riutilizzata più e più volte fino a quando a malapena assomigliano a quello che erano prima, dunque i mezzi di trasporto sono ormai rari. Proprio per questo, non era compatibile con la storia avere le risorse necessarie per altri inseguimenti spericolati.

Siccome il film è, se vogliamo, più statico dei precedenti, tale caratteristica si riflette anche nel personaggio di Mad Max: nel terzo capitolo, Max non è un poliziotto disilluso da tutto e di certo è meno assetato di sangue, qui Max diventa l’eroe nel senso classico del termine, nonostante all’inizio si comporti in maniera egoistica quando accetta il patto di Aunty.

Max dimostra una forte moralità in questo film e tutto ciò che fa è per salvare gli indifesi e gli svantaggiati. Quello che si instaura nelle parti dirette da Olgivie ricorda molto un happening religioso, o qualcosa che ricorda l’arrivo di Babbo Natale. I bambini della tribù sono traumatizzati, ma aspettano un salvatore con grande ottimismo e Max arriva giusto in tempo per vestire i panni del loro “messia”, il loro Capitano Walker.

Se i sentimentalismi prendono il sopravvento per la maggior parte del film, l’azione ha comunque il suo fascino: la lotta all’interno della sfera del tuono è inventiva poiché sia Max che Blaster cercano costantemente di avere la meglio l’uno sull’altro, volando intorno alla gabbia nei loro imbracature senza mai riuscire ad avere il sopravvento. La scena si muove, così, sia su un asse orizzontale sia su quello verticale, nonchè in tutto ciò che sta in mezzo, permettendo al pubblico che guarda di non perdere nessun dettaglio e di venire, in un certo modo, guidato con un movimento oscillatorio verso il focus di ogni inquadratura. 

Mad Max: Fury Road: il genio di Miller trent’anni dopo

Nel 2015 arriva Mad Max: Fury Road e George Miller si riprende lo scettro del miglior regista di film d’azione, tanto che ben sei statuette concedono il primato di film più premiato agli Oscar 2016. Questa volta nei panni di Max c’è Tom Hardy, ma non è il vero protagonista: potremmo dire che è Furiosa a rubare la scena, interpretata da una magnifica Charlize Theron. Nel cast figura anche Nicholas Hoult con il suo ragazzo della guerra Nux e Hugh Keays-Byrne, che ritorna di nuovo come antagonista ma stavolta personificando Immortan Joe.

La trama ci catapulta cinquant’anni dopo un’apocalisse, dove l’Australia è una terra desolata e la civiltà è crollata. Sembra l’incipit dell’ultimo capitolo della trilogia, ma qui tornano le macchine corazzate.
Max viene catturato dai War Boys, l’esercito del tiranno Immortan Joe, in qualità di donatore di sangue per un malato War Boy, Nux. Nel frattempo, l’Imperatrice Furiosa guida il suo War Rig per raccogliere benzina, ma in sta facendo fuggire le Cinque Mogli di Immortan Joe (Rosie Huntington-Whiteley, Riley Keough, Zoë Kravitz, Abbey Lee Kershaw e Courtney Eaton), schiave destinate a generare figli.

Tra inseguimenti e una tempesta, Max si libera e cerca di impossessarsi della cisterna di Furiosa, ma quando scopre che questo si apre con un codice che conosce solo Furiosa, Max si arrende e si aggiunge al piano di Furiosa. Nux, intanto, ritorna alla Cittadella e informa Immortan Joe di tutto: la blindocisterna viene raggiunta da Immortan Joe e le sue forze. La Moglie Angharad (Rosie Huntington-Whiteley) cade dal mezzo cercando di difendere Furiosa e viene investita dalla macchina dello stesso Joe, che perde così la compagna prediletta e il figlio che portava in grembo.

Una volta seminati gli inseguitori, Furiosa spiega a Max che ha intenzione di condurli al Luogo Verde delle Molte Madri, un posto fertile in cui lei viveva da bambina, prima di essere rapita. Nux svela la sua presenza a bordo e si mostra pentito di ciò che ha fatto e si dimostra essenziale in un momento critico della fuga. Il mattino seguente, il gruppo di Max e Furiosa scorge in cima a un traliccio dell’alta tensione una donna nuda che implora aiuto. Furiosa lascia il camion e dichiara la sua precedente affiliazione al clan dei Vuvalini.

La donna, di nome Valchiria (Megan Gale), fa parte del clan delle Molte Madri chiama dunque un gruppo di motociclisti del deserto che si rendono conto che Furiosa è un membro del loro clan tutto al femminile; rapita con sua madre da Immortan Joe quando era bambina. Furiosa scopre così che il luogo verde è ormai divenuto inabitabile ed era proprio la palude che avevano attraversato, ma c’è un plot twist: la Madre più anziana ha conservato i semi di varie piante prima che il posto diventasse contaminato. Il gruppo e le Molte Madri decidono, sotto consiglio di Max, di unirsi e tornare indietro per affrontare Immortan Joe e usare la Cittadella, con la sua acqua e il suo terreno fertile, per creare un nuovo Luogo Verde.

Nella battaglia finale contro Immortan Joe e i Figli della Guerra, Furiosa resta gravemente ferita, mentre le Molte Madri vengono decimate difendendo la blindocisterna dagli attacchi dei Figli della Guerra. Anche le mogli fanno la loro parte e non rimangono passive, anzi distraggono i nemici per far sì che Furiosa possa uccidere Joe. Nux, invece, si sacrifica facendo schiantare la blindocisterna e uccidendo Rictus Erectus (Nathan Jones), il figlio di Immortan Joe. Dopo la battaglia, il gruppo torna vittorioso alla Cittadella. I cittadini, vedendo il cadavere di Joe, festeggiano la fine del suo dominio. Furiosa e le Mogli vengono accolte come eroine, mentre Max si allontana silenziosamente.

La trama, in realtà, è molto meno complessa di quello che sembra su carta, poiché è un caos controllato, ma è proprio questo a rendere Fury Road un classico moderno del cinema. Dalla scelta meticolosa delle inquadrature al color grading, dai personaggi multisfaccettati all’uso massiccio di stunts e pochissima CGI, George Miller ha tra le mani gli elementi fondamentali per superare tutti gli ostacoli di un film dalla produzione infernale.
Le inquadrature sono magnifiche perché ritroviamo quegli escamotage già utilizzati nel terzo film. In tutte le scene di inseguimento, i veicoli vengono sempre centrati e così anche i combattimenti corpo a corpo.

L’azione è sempre in movimento diagonalmente, verticalmente o orizzontalmente, facendo rimanere nel centro i dettagli più importanti. Si crea anche una sorta di continuità, perché se nella prima scena il movimento va da sinistra a destra, in quella successiva si va da destra in alto e così via. Un’altra chicca della fotografia è la volontà di distaccarsi dalla classica palette blu scura dei film d’azione, scegliendo un arancione vibrante che ricorda l’aridità del territorio. Il blu c’è solo di notte, ma è comunque elettrico, acceso, quasi magico.

Sicuramente, Fury Road è un gran film anche per lo sviluppo dei personaggi. Fin da quando è uscito, il film è diventato parte di una letteratura cinematografica che ritrae la donna in modo diverso, cosa ancora più importante in un genere dominato dall’universo maschile. Max, inoltre, è più un personaggio di supporto che non sente il bisogno di dimostrare il suo potere ad ogni occasione e il suo rapporto di cameratismo con Furiosa è una novità per il genere action, che spesso vede i due protagonisti di sesso opposto instaurare una storia d’amore.

Un altro elemento da considerare è la consapevolezza delle Mogli le rende dei personaggi attivi anche quando sono semplicemente nascoste. E quando agiscono davvero, arriva a pieno il distacco dal patriarcale Immortan Joe, non sono più espedienti narrativi, ma personaggi a pieno titolo. 

Per quanto riguarda i cattivi, sicuramente è interessante la redenzione di Nux in qualità di personaggio in cerca di rispetto e riscatto rispetto ai suoi compagni, ma la vera stella del film è proprio Immortan Joe, il miglior cattivo dell’intera saga (almeno finora) ed è il motore che spinge la storia: lui è un uomo che, prendendo il controllo di un acquifero fortificato, sviluppa un culto attorno a sé. I suoi War Boys lo venerano come l’imperatore delle terre desolate, un santo che ha le chiavi per il Valhalla.

Joe, come mezzo per manipolare e controllare le masse, ha sviluppato una religione basata sui motori V8, non è un caso che i ragazzi della guerra, prima di sacrificarsi in battaglia, si spruzzino della vernice cromata sulla faccia per assomigliare a dei cofani d’auto.

Quando ci viene presentato Joe, lo vediamo come un uomo anziano decrepito, tuttavia, mentre i suoi assistenti e i War Boys gli fissano un’armatura scolpita per sembrare potente e impressionante, lo vediamo evolvere visivamente da Joe Moore morente a Immortan Joe, dio re. È un manipolatore, una bestia subdola dell’apocalisse che è salita al potere attraverso pura volontà e tenacia. La sua morte imminente lo ha reso ossessionato dall’idea di produrre un erede per portare avanti il suo regno di controllo dispotico.

È il suo ego che alimenta l’inseguimento, perché deve mostrare alla gente quanto sei forte anche quando stai chiaramente morendo. 
C’è anche un aspetto peculiare che lo rende più spaventoso perché umano, come se un declino morale del genere possa capitare a chiunque: anche se lui considera le mogli sue proprietà, quando Angharad muore, schianta la sua auto in un gesto istintivo per tentare di evitarla e stringe il suo corpo come un ricordo della vita che avrebbero potuto avere.

Joe è un simbolo del vecchio mondo, un simbolo dei mali della religione e della cultura del consumo che sono stati decimati in questo nuovo mondo. Lui è l’1% privilegiato che decide per tutti. Immortan Joe, inoltre, è l’antitesi perfetta di Max, perché Max è un uomo semplice con bisogni semplici che sta solo cercando di sopravvivere.

George Miller fa la rivoluzione del genere d’azione

Pochi franchise cinematografici hanno avuto un percorso così strano come la saga di Mad Max, ma il suo successo è dato soprattutto da tutti i rischi produttivi e dalla voglia di fare qualcosa di diverso, non per forza inserito nello status quo.

Se sul lato pratico, è innegabile che la venerazione per i veicoli e il ritmo forsennato, sono stati di ispirazione per film come Fast and Furious e Death Race, la saga è importante perché porta una nuova rappresentazione dell’azione sul grande schermo: non sono storie di rapimento, non sono i servizi segreti, non sono gare d’auto, non sono faide mafiose, Mad Max è l’ombra di una crisi energetica che porta all’apocalisse. E, in questo senso, è ancora più verosimile perché una cosa del genere coinvolge davvero tutti. 

Per concludere, si può dire che la saga non è solo un’esibizione di spettacolare follia, ma anche una critica alla società contemporanea dove tutti sono ormai ossessionati dalla violenza e dalla mercificazione di ogni cosa (latte umano, sangue, bambini), anche se c’è sempre una speranza nell’idea di fondo della saga: per comprendere meglio questa situazione, una chiave di lettura è individuare nei bambini dell’intero franchise la personificazione del tempo in cui si svolge la storia.

In Interceptor, la vita normale del figlio di Max viene spezzata dalla ferocia umana, in Il guerriero della strada troviamo il ragazzo selvaggio, un bambino che non sa parlare e che non viene educato da nessuno, in Oltre la sfera del tuono, invece, ci sono i bambini della tribù, capaci di sperare in un futuro migliore a suon di favole. Infine, in Fury Road, abbiamo Glory, una bambina del passato di Max che non è riuscita a salvare.

Lei appare nelle visioni di Max, che saranno molto d’aiuto per evitare di morire. E poi c’è il bimbo in grembo di Angharad, a simboleggiare la forza interna della Moglie. Queste morti bianche però sono diverse da quella del figlio di Max, perché stavolta spingono gli adulti a fare di meglio per un nuovo futuro, senza ricadere nella vendetta o nell’apatia della sopravvivenza.