Non si può assolutamente dire che un cineasta del calibro di Fruit Chan passi inosservato all’interno del panorama cinematografico contemporaneo. Già, perché, di fatto, dopo una serie di notevoli cortometraggi e tre lungometraggi, il regista cinese è finalmente riuscito a catturare l’attenzione di pubblico e critica anche su scala internazionale grazie al suo Made in Hong Kong, realizzato nel 1997, nonché caotico e variopinto ritratto del suo paese, da poco diventato regione amministrativa speciale della Cina.
Soltanto sette anni dopo, dunque, sarebbe venuto alla luce un altro controverso film che avrebbe fatto molto parlare di sé. Stiamo parlando di Dumplings, realizzato, appunto, nel 2004 e che ha preso vita da un precedente cortometraggio diretto dallo stesso Fruit Chan facente parte del progetto collettivo Three…Extremes, realizzato insieme ad altri due cineasti asiatici: Takashi Miike e a Park Chan-Wook nello stesso anno.

L’idea di realizzare un lungometraggio da un suo precedente corto si è rivelata indubbiamente una scelta vincente. E, di fatto, in Dumplings c’è davvero tanta e tanta carne al fuoco (non soltanto in senso letterale).
La storia messa in scena, infatti, è quella dell’affascinante – ma non più giovanissima – attrice Li (impersonata da Miriam Yeung), una donna costantemente trascurata dal marito, ossessionata dal passare del tempo e dalla sua bellezza che va man mano sfiorendo.
Le cose, però, potrebbero finalmente cambiare grazie alla misteriosa Zia Mei (Bai Ling), una donna di circa sessant’anni che, tuttavia, sembra appena trentenne. Ella, di fatto, custodisce il segreto dell’eterna giovinezza. Chiunque, infatti, abbia modo di mangiare i suoi pregiatissimi e costosissimi ravioli finisce per sembrare sempre più giovane.
Tali misteriosi ravioli contengono, in realtà, carne di feti umani abortiti.
Come possiamo vedere, dunque, in questo suo controverso Dumplings, Fruit Chan non ha avuto paura di calcare la mano, trattando tematiche scottanti come il cannibalismo e l’aborto e tracciando, al contempo, uno spietato e disincantato ritratto della società e del suo stesso paese.

Non v’è nemmeno un attimo, durante la visione di Dumplings, in cui lo spettatore può “riprendere fiato”. Una costante tensione ben si sposa con immagini cruente, con feti tagliuzzati, cucinati o conservati in frigo, con dialoghi che non lasciano davvero nulla all’immaginazione. Le vita di Li, di suo marito e di Zia Mei si intrecciano inevitabilmente e pericolosamente, entrando in una spirale da cui sembra praticamente impossibile uscire.
Mediante la storia delle due protagoniste, dunque, Fruit Chan apre un discorso ben più complesso, che riguarda in primis l’ossessione per l’aspetto fisico e, in generale, per l’esteriorità, ma anche le varie superstizioni e credenze che altro non fanno che rovinare irrimediabilmente la vita della gente (l’affascinante Zia Mei, con le sue movenze aggraziate e i suoi modi quasi innaturali è una vera e propria santona che trae profitto dalle sofferenze delle persone). E poi, non per ultimo, c’è il tema dell’aborto e della politica del figlio unico.
I ravioli con i feti maschi sono i più pregiati, di solito la gente abortisce solo le femmine.
Negli ospedali di Hong Kong hanno luogo ogni giorno numerosi aborti clandestini. Zia Mei è responsabile di molti di questi aborti. Le immagini parlano da sé e si rivelano molto più spietate di quanto possa inizialmente sembrare.
In Dumplings, Fruit Chan evita sapientemente mezze misure e disturbandoci e sconvolgendoci con immagini sanguinolente urla a gran voce la sua rabbia nei confronti del suo paese.
Questo suo importante lungometraggio è tutto ciò che ci si aspetta da un film che tratta il tema del cannibalismo. Altro che patinate storie adolescenziali con i divi del momento.