Una serie di inquadrature identificano la bellezza di una New York in bianco e nero che «pulsava dei grandi motivi di George Gershwin», mentre le insegne luminose restituiscono il fascino di una metropoli in continuo movimento. Manhattan inizia così, con una celebrazione della città tanto cara all’autore Woody Allen che interpreta il protagonista Isaac Davis, un quarantaduenne nevrotico e sentimentalmente instabile.
È nel 1979 che il mondo conosce questa commedia romantica di rara bellezza, che fonde al suo interno ricchi e colti dialoghi insieme ai rapporti sentimentali di un newyorkese che rigetta la solitudine.
Woody Allen scrive la sceneggiatura con Marshall Brickman (Il dormiglione ed Io e Annie) e dirige Manhattan che viene presentato fuori concorso al 32esimo Festival di Cannes e successivamente riceve due candidature agli Oscar nel 1980 (rispettivamente per miglior attrice non protagonista a Mariel Hemingway e miglior sceneggiatura originale).

Attraverso una genuina semplicità, le ampie inquadrature iniziali di Manhattan sembrano saltare fuori da una mostra fotografica del MoMa, siamo trascinati all’interno di una realtà che ci appare diversa e notevolmente estetica.
Le luci dei grattacieli che svettano si fondono alla sofisticata melodia jazz e danno carattere al bianco e nero che richiama i ricordi fotografici risalenti all’infanzia del regista.
Uno stacco dopo l’altro Manhattan si compone di larghe inquadrature (derivanti dall’uso del widescreen) all’interno del quale spesso appaiono due soggetti.
La fotografia gioca continuamente sulle luci e sulle ombre creando delle suggestioni: una tra tante il campo lungo di Isaac e Mary seduti alla panchina sovrastati dal Ponte di Queensboro.
Manhattan è la celebrazione di una città identificata come bellezza decadente, in cui la personalità nevrotica e insicura dei personaggi si delinea nei loro rapporti sentimentali complicati e nella loro riconsiderazione.

Isaac Davis è un autore TV preoccupato per l’imminente pubblicazione del libro della sua ex moglie Jill (Meryl Streep), che lo ha lasciato per un’altra donna, in cui vengono raccontati tutti i dettagli del loro matrimonio.
Durante la frequentazione con la diciassettenne Tracy (Mariel Hemingway), il suo amico Yale (Michael Murphy) gli confessa di avere una relazione extraconiugale con una giornalista intellettuale e divorziata Mary Wilke (Diane Keaton). È ad una festa che Isaac e Mary si rivedono iniziando a conoscersi meglio.
Nel frattempo Mary ha dei dubbi sulla sua relazione con Yale, e Tracy deve trasferirsi a Londra per studiare recitazione. Entrambe le relazioni si logorano, tra cui quella di Isaac per via della partner troppo giovane e per il suo grande interesse nei confronti di Mary. Tra lui e quest’ultima nasce una relazione che termina quando lei si accorge di amare ancora Yale. Ripensando alle sue scelte Isaac corre da Tracy prima che parta, cercando di farle cambiare idea senza successo.
In Manhattan le relazioni extraconiugali sono sono affrontate con uno sguardo raffinato e perspicace ironia. Il romanticismo è passeggero e l’aspetto psicologico dei personaggi è espresso attraverso lunghi dialoghi fatti di botta e risposta, in cui ognuno di loro riporta ansie, contraddzioni e fallimenti. Alla fine c’è chi rinuncia al proprio matrimonio come Yale e chi come il nevrotico romantico Isaac pensa che «ci si dovrebbe accoppiare a vita come piccioni o come cattolici».
[…] Allen, tra cui lui stesso ovviamente, si avvicendano sullo schermo, ma lo sfondo è sempre quello: Manhattan, con tanto di contemplazione del Queensboro Bridge, in una delle scene più memorabili del film, […]