Il pioniere dell’horror italiano, Mario Bava, ha contribuito in modo significativo a definire il genere ed è, ancora oggi, un regista ammirato e rispettato in tutto il  mondo.
Il suo lavoro ha influenzato cineasti del calibro di Dario Argento, Tim Burton, Francis Ford Coppola e Quentin Tarantino. Grazie al suo stile unico e l’ innovazione tecnica che ha portato nel mondo horror, ha lasciato un’ impronta indelebile nella cinematografia italiana e internazionale.

Mario Bava lavorò come direttore della fotografia in molti film prima di diventare regista, il che contribuì a sviluppare la sua straordinaria abilità visiva ricca di colpi di genio e di un originale uso dei colori.

Il maestro dell’horror era, inoltre, molto abile nell’ideazione e realizzazione di effetti speciali innovativi e artigianali. La sua bravura stava nel trovare soluzioni creative con budget limitati. Bava è noto per aver diretto diverse pellicole antologiche, tra cui I tre volti della paura (1963) e I coltelli del vendicatore (1970), che hanno presentato diverse storie in un unico film.

Vanno assolutamente spese alcune parole a riguardo della fotografia nei film di Mario Bava. Infatti, è una delle caratteristiche distintive del suo lavoro e ha contribuito in modo significativo a creare l’atmosfera unica e l’estetica visiva dei suoi lavori. L’uso del colore creativo, il gioco di luci e ombre, la composizione visiva hanno reso le sue opere riconoscibili da un singolo fotogramma.

Mario Bava utilizzava una vasta gamma di palette cromatiche per creare atmosfere specifiche per ogni film. Ad esempio, in La maschera del demonio, il bianco e nero era stato scelto per enfatizzare il senso di classicismo e orrore gotico, mentre in Operazione paura, i colori vibranti contribuivano a dare un’atmosfera psichedelica.

Per aumentare la suggestione negli spettatori, giocava con l’illuminazione per enfatizzare dettagli importanti o nascondere elementi cruciali nella penombra. In questo modo, suspense e tensione erano garantite! Inoltre, il regista sfruttava al massimo l’inquadratura e la messa in scena per dare vita a delle immagini iconiche. Ogni frame dei suoi film comunica un’emozione e un tono specifico, grazie anche a una certosina ricerca e cura dei particolari.  
Mario Bava non lasciava nulla al caso. Ogni dettaglio era pensato per impressionare e guidare il suo pubblico.

Se non hai mai visto un film di Mario Bava, noi di Cabiria Magazine ti suggeriamo tre titoli per entrare nel cupo mondo del pioniere dell’horror:

La maschera del demonio (1960)

Noto anche come Black Sunday negli Stati Uniti, è un’icona dell’horror gotico italiano. Questo film è una pietra miliare che ha lasciato un’impronta indelebile nel genere.
La trama segue la vendetta di una strega risvegliata secoli dopo la sua esecuzione e il suo desiderio di vendetta contro i discendenti di coloro che l’hanno giustiziata.
La maschera del demonio brilla per la sua atmosfera cupa e inquietante, sottolineata dalla fotografia in bianco e nero straordinariamente suggestiva.

É l’esordio di Mario Bava. Nato da un’idea del produttore Santi, dopo il notevole successo mediatico de Le fatiche di Ercole, diretto da Pietro Francisci. La sceneggiatura è scritta dallo stesso regista insieme a De Concini che si ispirarono alla novella Vij di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, testo a cui il cineasta era particolarmente legato.  

Con un budget ridotto, Bava ha ricreato atmosfere gotiche e tenebrose negli studi Titanus di Roma, curando sia gli effetti speciali che la fotografia. Le scene sono caratterizzate da scelte interessanti e autoriali, come piani sequenza dettati da movimenti scorrevoli e precisi della macchina da presa. Il film è stato girato tra Roma e  provincia e la dimora della principessa Katia (Barbara Steele)  è, in realtà, il Castello Massimo di Arsoli.

Il primo lungometraggio diretto da Bava  fu esportato all’estero e ottenne un ottimo successo di pubblico.  In America venne inserito come double feature insieme a La piccola bottega degli orrori di Roger Corman. In patria, come spesso accade a molti talenti nostrani, il film passò inosservato e venne vietato ai minori a causa di alcune scene particolarmente violente per l’epoca. Nel Regno Unito, fino al 1968, fu addirittura bandito.

Grazie al successo de La maschera del demonio, la protagonista Barbara Steele fu scritturata in moltissimi horror e, proprio per questo, viene considerata la “regina del gotico italiano”. La sua interpretazione e quella di John Richardson sono convincenti e intense. La maschera diabolica indossata dalla Steele è diventata un’icona dell’horror.
La colonna sonora di Roberto Nicolosi aggiunge un ulteriore elemento di tensione al film. Una curiosità… nella versione americana c’è una soundtrack completamente diversa, composta da Les Baxter.

Tim Burton ha tratto ispirazione da La maschera del demonio per Il mistero di Sleepy Hollow. Ma anche altri cineasti hanno omaggiato alcune scene del film, come Michael Reeves ne Il grande inquisitore e Rob Zombie ne Le streghe di Salem
Il figlio di Mario, Lamberto Bava, ne ha realizzato un remake televisivo. L’opera prima del pioniere dell’horror  è un must per gli amanti del genere. La sua combinazione di atmosfera gotica, stile visivo distintivo e una trama di vendetta demoniaca lo rende un classico che continua a spaventare e affascinare il pubblico anche dopo decenni dalla sua uscita.

Operazione Paura (1966)

Noto anche come Kill, Baby… Kill! all’estero, è un’opera d’arte dell’horror psicologico che dimostra la maestria di Mario Bava nel creare un’atmosfera inquietante e disturbante.
La trama segue il medico Paul Eswai (Giacomo Rossi Stuart) che viene chiamato in un remoto villaggio per investigare su una serie di morti misteriose ed eventi paranormali. Ciò che segue è un viaggio in un mondo di terrore e superstizione che sfida la percezione del protagonista e dello spettatore. Nel villaggio il medico incontra una bambina, Melissa, che si rivela essere morta anni prima  investita da una carrozza. Il suo spirito è in cerca di vendetta per non essere stata aiutata durante quel fatidico incidente…

Il film è noto per la sua fotografia straordinariamente accattivante dai colori vibranti e una messa in scena visivamente coinvolgente. Bava fa un uso magistrale di luci e ombre per creare un’atmosfera spettrale che permea l’intera storia.

Operazione paura” è stato scritto dalla coppia Natale-Migliorini, autori de Il boia scarlatto, ma il copione originale era di solo trenta pagine. Il pioniere dell’horror ha sempre dichiarato che la maggior parte delle scene furono improvvisate e l’intera pellicola venne girata in soli dodici giorni a causa del piccolo budget che la produzione aveva a disposizione. Gli interni furono ricreati negli studi Titanus di Roma. Il castello della baronessa è, in realtà, Villa Grazioli, mentre  Il villaggio è, invece, Faleria, piccolo borgo situato nel viterbese.

Operazione paura è l’ ennesima prova del talento d’ artigiano di Bava e di non aver bisogno di cifre hollywoodiane per realizzare il cinema con la C maiuscola. Il lungometraggio prosegue il suo sperimentalismo cromatico, già visibile in altri film come La frusta e il corpo e Sei donne per l’assassino

Il cineasta utilizza molti piani sequenza e  zoom,  oltre alle sue caratteristiche  “soggettive senza soggetto“, tecniche già adoperate ne “La maschera del demonio”. Per le sequenze oniriche, fa ampio uso di effetti sfocati e colori psichedelici. La colonna sonora di Carlo Rustichelli contribuisce a creare un’atmosfera di inquietudine costante.

Due grandi registi sono rimasti molto colpiti da questo film. David Lynch, nell’ultimo episodio della serie televisiva I segreti di Twin Peaks, omaggia Bava filmando la sequenza in cui l’agente Dale Cooper viene inseguito dal suo doppio malvagio, evidente riferimento all’analoga scena presente in Operazione paura.
Federico Fellini , nel suo Toby Dammit, episodio del film collettivo Tre passi nel delirio, mostra una bambina che ricorda molto quella del film di Mario Bava. Più che un omaggio, il suo,  pare più un plagio, tanto che Fellini non aveva mai avvertito il cineasta della sequenza presente nel suo episodio e l’artigiano del terrore se ne accorse solo guardando il film al cinema. 

Operazione paura sfida le convenzioni del genere, offrendo una narrazione complessa e visionaria che persiste nella memoria dello spettatore. È un altro esempio della genialità di Mario Bava nel mondo dell’horror e un film che merita sicuramente di essere visto dagli amanti del cinema del terrore.

I tre volti della paura (1963)

Noto anche come Black Sabbath in inglese e firmato con lo pseudonimo di John Old,  I tre volti della paura è un film antologico che presenta tre storie dell’orrore separate, unite da un’introduzione e una conclusione. Ogni segmento offre una diversa sfumatura di terrore, dimostrando la versatilità e la maestria di Mario Bava nel genere dell’horror.

Il primo episodio, Il telefono, è un thriller psicologico che mescola suspense e mistero in modo efficace. Il secondo segmento, I Wurdalak, è un racconto gotico ambientato nell’Europa dell’Est e presenta una performance memorabile di Boris Karloff. Infine, il terzo episodio, La goccia d’acqua, è una storia di vendetta paranormale che crea un’atmosfera di crescente terrore.

Grande arte cinematografia con pochi mezzi: in due parole, Mario Bava.
I tre volti della paura è semplicemente l’apogeo del gotico italiano. La fotografia del cineasta-artigiano è eccezionale in tutto il film, con l’uso di colori audaci e composizioni visive di forte impatto che contribuiscono in modo significativo a ciascuna storia. La colonna sonora di Roberto Nicolosi sottolinea ed enfatizza la tensione della pellicola.

La versione destinata al mercato statunitense differisce da quella italiana. Le differenze sono significative in particolar modo nell’ordine differente degli episodi e nella struttura dell’episodio Il telefono. Il rapporto saffico delle due protagoniste alle anteprime americane venne considerato troppo esplicito e venne presa la scelta di convertire il loro legame in una storia di fantasmi. Questo, naturalmente, ha offuscato e reso confuso il rapporto le due donne.  La versione statunitense, inoltre, vede una presenza maggiore di Boris Karloff che introduce ogni episodio.

La particolarità de I tre volti della paura è la struttura della trama. Non ha caso ha influenzato Roman Polanski per L’inquilino del terzo piano e Quentin Tarantino per Pulp Fiction.
E, per restare a tema di ispirazioni, impossibile non citare la rock band inglese Black Sabbath che ha scelto il nome proprio omaggiando il titolo estero della pellicola di Bava.

I tre volti della paura è un esempio di cinema horror italiano degli anni ’60 ed è apprezzato per la sua innovazione stilistica e narrativa. Le tre storie offrono una varietà di esperienze spaventose, mantenendo lo spettatore coinvolto dall’inizio alla fine. Questo film rimane una pietra miliare del genere e l’ennesima  prova della maestria di Mario Bava che, in Italia, resta purtroppo ancora troppo poco conosciuto. Perché quello che fa veramente paura è che un regista del suo calibro sia amato solo da un pubblico di nicchia!